Le politiche accomodanti di governi e banche centrali che hanno causato una generalizzata perdita di fiducia verso gli investimenti azionari ed obbligazioni, hanno invece determinato una corsa al bene rifugio per eccellenza. Parliamo di oro che, per il dodicesimo anno consecutivo, ha chiuso le contrattazioni al rialzo con un tasso medio annuale del 16,8% in termini di dollari USA (leggermente peggio nella valuta europea con il 13,8%) benchè il sentiment degli investitori istituzionali e privati, e non solo per quanto visto nell’ultima settimana dopo la possibile stretta di operazioni di quantitative easing della Banca centrale americana già nel corso del 2013, sembra non essere altrettanto positivo come lo è stato in passato.
La maggior pare delle banche di investimento mondiali sembrano concordi nell’intravedere una pausa o quantomeno non più quei guadagni a doppia cifra che hanno caratterizzato l’ultimo decennio prevedendo una pausa di consolidamento attorno ai livelli attuali (1600 USD/oncia) ed i rumors, provenienti da paesi solitamente amanti del metallo giallo come quello indiano, di dazi ad importazioni suonano come l’ennesimo campanello d’allarme da non sottovalutare.
Chi invece sembra disinteressarsi dei volatili andamenti del mercato è la Repubblica Popolare Cinese che molto probabilmente dopo la pubblicazione delle statistiche economiche del quarto trimestre da parte del World Gold Council diventerà il più grande consumatore mondiale sfruttando anche le stime di crescita di oltre il 7% del PIL ed i passi significativi fatti dal governo per rendere maggiormente appetibile la propria moneta negli scambi commerciali internazionali.
In un’ottica di diversificazione degli investimenti, grazie soprattutto alla sua natura di bene tangibile e di protezione dall’erosione del potere di acquisto monetario, potrebbe essere ancora interessante per l’investitore, purchè consapevole dei rischi insiti anche in questo mercato, la detenzione del metallo sia attraverso strumenti come gli ETF che fisicamente.