E' vagamente surreale che di lavoro si occupi soprattutto che non lavora, almeno in modo tradizionale. Così il lavoro (e la sua mancanza) diventa lavoro per tanti, in prima fila politici e sindacati. Professionalità è... "fare lavorare gli altri".

Intorno al lavoro si muovono anche strutture quali centri studi, osservatori, agenzie... pare che la disoccupazione sia un business. Paradossale? Forse.

Però vorremmo che di lavoro si occupasse anche chi lavora o ha lavorato, imprenditori, cooperative... organizzazioni che non si attestino su dichiarazioni di intenti, ma innestino iniziative concrete, anche se limitate.

Necessario pare diffondere una cultura del lavoro che superi vecchi schemi e comportamenti divenuti inefficaci. In fondo comunità extracomunitarie si sono integrate con il lavoro in Italia, anche in tempi di crisi (al primo posto i cinesi). Un esempio che può tornare utile anche a noi.

Solo in questo modo il lavoro perderà una dimensione astratta e politica. Certamente le soluzioni sono connesse all'evolversi di situazioni nazionali e internazionali di ampio respiro e a grandi disegni strategici. Però i "massimi sistemi" quasi mai fanno giustizia a chi è senza lavoro. Inoltre purtroppo i disoccupati in genere resteranno tali, inutile farci illusioni. Si conta solo sugli ammortizzatori sociali.

Un miglioramento della situazione si potrà constatare, nella migliore delle ipotesi, dall'andamento dell'occupazione giovanile. Allora forse vedremo la fine dell'emergenza, ma non si potranno sanare il disagio e l'impoverimento di questi anni.