Nei giorni scorsi, il presidente americano Donald Trump, ha firmato un memorandum per imporre dei dazi sulle importazioni cinesi. Cosa può succedere se gli U.S.A. prima economia del pianeta, decide di dichiarare guerra commerciale alla seconda potenza economica, la Cina? Prima di rispondere, gli investitori, vogliono provare a capire cosa c'è di vero nelle dichiarazioni, durissime, rilasciate da Trump.

Perché non bisogna dimenticare che il rapporto tra le due super-potenze è delicato e si basa un meccanismo do-ut-des dove gli States comprano le merci e i cinesi finanziano il debito pubblico.

I dazi U.S.A., i mercati e l'avversione al rischio

Il presidente Trump, recentemente, ha affermato che il deficit commerciale con la Cina risulta troppo alto e, di conseguenza, ha chiesto di ridurlo, subito, di 100 miliardi di dollari. E, presto, alle parole ha fatto seguire i fatti. Nel giro di pochi giorni ha firmato il memorandum con il quale il suo Governo può imporre, sulle importazioni cinesi, delle tariffe.

In questo modo, vuole evitare l’appropriazione di tecnologia americana da parte delle imprese del Paese del dragone.

Le misure, che con un dazio medio del 25% andranno a colpire le merci per un valore di circa 60 mld di dollari, riguarderanno le importazioni di circa 1300 prodotti (i settori interessati saranno diversi e spazieranno dall'elettronica alle calzature). Come fanno notare gli esperti, il punto della questione, è rappresentato dalla bilancia commerciale americana, in costante peggioramento. Infatti, nel mese di gennaio, il commercio con l'estero ha segnato un passivo di circa 56,6 miliardi di dollari. E, va sottolineato, è il dato più ampio dall'ottobre 2008 (quando Lehman Brothers portò i libri in tribunale...).

Va precisato che circa due terzi dei 56,6 miliardi riguardano la Cina: nello stesso mese, il passivo nei suoi confronti è lievitato, su base mensile, del 17% e ha toccato i 36 miliardi (ai livelli di settembre 2015). Va considerato che, nei confronti dell'UE, il deficit USA è leggermente migliorato passando da 15,8 a 13,6.

Le decisioni finanziarie di Trump hanno avuto, come era prevedibile, delle forti ripercussioni sui mercati. Nessun listino azionario principale, nell'ultima settimana, è risultato al riparo dalle vendite. Certo, ha influenzato anche l'ondata di ribassi che ha investito, con il “datagate” di Facebook, le big tecnologiche.

Comunque, di per sé, le scelte protezionistiche di Trump contro Pechino, non risultano destabilizzanti.

Secondo gli analisti di Capital economics l'impatto sul PIL cinese non dovrebbe superare lo 0,25%. Gli effetti sarebbero ovviamente diversi, se Trump avesse solo compiuto il primo passo. O, se la Cina, decidesse di mettere in atto delle contromisure simili. Non bisogna, infatti, dimenticare che il paese di Xi Jinping è, dopo la Federal Reserve, il secondo detentore mondiale di titoli di Stato.

Molti investitori considerano la retorica aggressiva del Presidente Trump una semplice strategia negoziale. Anche se non si esclude che possa dare il via ad un pericoloso meccanismo di ritorsioni. Sui listini, infatti, si sta facendo nuovamente sentire una forte avversione al rischio testimoniata dai forti ribassi registrati, negli ultimi giorni, dalle Borse.

Bank of America Merrill Lynch, ha segnalato che, nell'ultimo mese, i grandi investitori hanno scelto di ridurre l'esposizione sui settori ciclici (energia e materie prime) e hanno preferito comparti difensivi (immobiliare o beni di largo consumo).