La grave crisi finanziaria del 2008 ha inaugurato un clima di crisi a livello sociale oltre che economico in cui i paesi occidentali si trovano tutt’ora a sguazzare. Il punto nodale della situazione consiste in un gap economico e politico tra i diversi gruppi sociali che, prima di oggi, non sono mai stati così lontani.

La piramide sociale

Al vertice della piramide sociale troviamo la cosiddetta "intellighenzia", costituita da manager e banchieri di qualche manciata d’aziende che da soli detengono pacchetti di ricchezza maggiori non solo di quelli gestiti dagli altri gruppi sociali, ma addirittura di quelli di interi paesi.

Il tutto senza prescindere, ovviamente, da legami privilegiati con i leader politici. Si tratta di un panorama lontano dall’immaginario della gente comune, avvolto in un’aura di mistero.

Più sotto, troviamo il cosiddetto ceto medio, il vero cuscinetto della crisi ormai quasi decennale, la classe che più richiede conferme da parte dei governi. Questo quadro d’insieme si è diffuso ampiamente nell’intero mondo occidentale, dagli Stati Uniti all’Europa, ed è anche il motivo su cui i movimenti di protesta per l’ottenimento di maggiori uguaglianze si scaglia maggiormente. Insomma, è veritiera come prospettiva da cui ripartire a costruire il mondo globalizzato?

Stop alla mobilità sociale

Una teoria che propone un cambio di prospettiva radicalmente nuovo è quella che propone la classe media come maggiore accumulatrice di potere economico, culturale e politico al punto da barricarvisi all’interno. Gli autori di questa tesi sono Matthew Stewart, redattore dell’Atlantic e Steven Brill, avvocato collaboratore del Time. Entrambi appartengono alla generazione dei baby boomers, quella che ha cavalcato l’onda della rivoluzione economica americana post seconda guerra mondiale.

Le loro stesse carriere dovrebbero essere la risposta alle domande circa la meritocrazia e la mobilità sociale. Ma non è così. La ricchezza fagocitata avidamente dalla fascia media della popolazione è proprio quella che ha mandato in tilt la democrazia americana.

Di questo gruppo sociale è specchio il mito americano, imperniato sull’efficienza e sulla “dottrina del fare” e su un alto livello di scolarizzazione.

Tutto, impensabilmente, parte da una selezione sessuale: oggi negli Stati Uniti la frequenza di matrimoni tra persone con lo stesso livello culturale è il più alto mai raggiunto nella storia. Tutto ciò ha come esito il fatto di ingabbiare la mobilità sociale tanto decantata. Tale disuguaglianza di cui parlavamo poco sopra ecco che ha trasformato il matrimonio in un bene di lusso. E con esso la ricchezza immobiliare. Non più segregazione razziale, insomma, ma economica e culturale.

Ecco che il mito americano crolla sulle sue fragili gambe: non è più attraverso il lavoro e le capacità individuali che ci si può aprire una strada verso una vita dignitosa.

Al contrario, l’accentuarsi delle disuguaglianze va a braccetto con la diminuzione della mobilità sociale. A dimostrazione di quanto detto, alle elezioni presidenziali del 2016, il cuore dell’elettorato democratico è stato proprio rappresento da questa nuova aristocrazia rampante, mentre tra le fila dei sostenitori di Trump vi sono gli esponenti della classe meno istruita della popolazione.

Un’inversione di tendenze, pare evidente. Ma come se ne esce? La storia insegna che i grandi sconvolgimenti epurano tutto quanto: è successo dopo la depressione negli anni venti, ad esempio. Probabilmente stiamo viaggiando a passo spedito verso qualcosa di simile.