In Italia, si sa, che mentre una mano dà, un'altra leva copiosamente. E così, mentre solo qualche giorno fa il Ministro del Lavoro Giuliano Poletti dichiarava come fosse prioritario cercare di incrementare il ricorso alla previdenza integrativa da parte degli italiani, anche tramite la leva della fiscalità, il decreto Irpef approvato dalle commissioni Finanze e Bilancio dello Stato prevede l'innalzamento dell'aliquota relativa alla tassazione sui fondi pensione dall'11% all'11,50%.

La misura si rende necessaria al fine di evitare di dover ricorrere all'innalzamento dell'aliquota dal 20% al 26% sulle rendite finanziarie delle casse previdenziali privatizzate, ovvero riferite a determinate categorie di lavoratori.

Tale variazione infatti, comporterebbe per le casse che gestiscono la previdenza dei professionisti, un esborso di circa 50 milioni di euro. Così facendo, la norma ponte (in attesa che nel 2015 venga armonizzata la tassazione delle rendite finanziarie) , se approvata, comporterebbe una penalizzazione per gli iscritti ai fondi pensione, specie per quelli più giovani.

Insomma: in Italia, il tasso di disoccupazione è su livelli sempre più elevati, e, in prospettiva futura, non è sicuramente una buona notizia per le casse dell'Inps. La naturale conseguenza, sia a livello strettamente individuale che collettivo, dovrebbe essere quella di incentivare il ricorso a forme di previdenza complementare integrative attraverso maggiori facilitazioni, sgravi e il contenimento (in senso di favore) delle aliquote fiscali.

Entro il 23 giugno avremo l'ardua sentenza: questo è infatti il termine ultimo entro il quale il decreto dovrà essere convertito in legge. La coperta è sempre più corta ed il rischio concreto è che, a forza di tirarla, si strappi in mille pezzi. In un Paese già di per sè a pezzi, si può pretendere qualcosa di diverso?