L'Unione Europea torna a puntare il dito contro il sistema pensionistico italiano, mettendo in evidenza le disparità esistenti tra i trattamenti di cui beneficiano gli uomini e le donne. L'attenzione di Bruxelles sembra concentrarsi nuovamente sul tema dei diversi criteri di maturazione della quiescenza, dopo che già nel 2013 era stata aperta una procedura d'infrazione nei confronti del Bel Paese.

I tecnici europei avevano infatti messo in mora il Governo attraverso una lettera nella quale si chiedeva di correggere l'apertura ai prepensionamenti per le dipendenti pubbliche che beneficiano di un anno di anticipo rispetto a quanto non sia possibile per i colleghi uomini. Il riferimento normativo è quindi quello del dispositivo di legge n. 214/2011, conosciuto meglio anche come Decreto Salva Italia.

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Dal punto di vista operativo, il nodo del contendere riguarda il pensionamento delle lavoratrici pubbliche con 41 anni e tre mesi di versamenti, mentre gli uomini con simile posizione vedono aprirsi le porte dell'Inps esattamente un anno dopo (cioè a 42 anni e tre mesi).

Questo presupposto, secondo i tecnici dell'Ue, sancisce l'aperta violazione dell'art. 157 del trattato sulla parità di trattamento dei lavoratori siglato dal Bel Paese. Di fatto, l'invito all'Italia è quindi quello di unificare i parametri di uscita dal lavoro, sebbene il nostro Paese abbia eccepito che tale differenza risulti solo sulla carta e non prenda forma a livello sostanziale, visto che l'uscita anticipata comporta anche la percezione di un emolumento inferiore rispetto a quello che si sarebbe maturato a parità di parametri. Sul punto bisognerà attendere ora la risposta dell'esecutivo, per comprendere se la critica di Bruxelles prenderà effettivamente forma attraverso un intervento correttivo da inserire all'interno della riforma previdenziale di prossima discussione.

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