Se qualcuno se ne fosse dimenticato, nel 2015 la Corte Costituzionale ha sancito che il blocco della perequazione, e quindi dell’aumento dei contratti dei lavoratori pubblici, non era legittimo. Il Decreto Salva Italia di Monti, per via di quella brutta crisi e dello spread balzato alle stelle, chiese (ordinò) un sacrificio ai dipendenti pubblici che, di fatto, da 6 anni hanno i contratti fermi. Dopo la sentenza, il Governo ha promesso di porre rimedio a tutto ciò e nella Legge di Stabilità ha stanziato 300 milioni da dividere tra i dipendenti, per adeguare i contratti.
Fino ad oggi però, ancora niente, la situazione è ancora ferma ai nastri di partenza.
Il Governo si dice pronto
Sull’argomento è tornata a parlare il Ministro per la Semplificazione e laPubblica Amministrazione, Marianna Madia. Il 12 marzo, intervenendo alla Scuola di Formazione del Partito Democratico, ha ribadito la ferma posizione del Governo. Il Ministro ha confermato le cifre stabilite nella manovra finanziaria ed è tornata a promettere che, in caso di crescita dell’economia, le somme stanziate saranno sicuramente ritoccate in meglio per i dipendenti. In altri termini, per la Madia, la somma messa a disposizione sembra irrisoria, ma rappresenta un primo passo, un modo per riaprire la stagione contrattuale.
Detta così, sembra quindi che il Governo sia già pronto, che si sia già messo comodo al tavolo delle trattative. Si tratta di una evidente apertura ai rappresentanti dei lavoratori per dare inizio alla discussione.
Ma perché non si parte?
Ma allora, perché non si è ancora provveduto a sistemare i contratti, perché tutto è ancora fermo nonostante la Consultanella sua pronuncia, ed il Governo nella Legge di Stabilità, abbiano già messo nero su bianco la soluzione?
Sempre secondo il Ministro, lo stallo non è addebitabile al Governo perché, come detto prima, tutto è pronto. Il Ministro punta l’indice contro i lavoratori, o meglio, contro i loro rappresentanti sindacali che non avrebbero ancora trovato la quadratura del cerchio su un’altra spinosa questione, cioè la riduzione dei comparti.
In effetti, i sindacati sono in trattativa con l’Aran, l’Agenzia per la contrattazione, a cui il Ministro Madia ha dato incarico di trattare. Il nodo è la famosa riduzione dei comparti da 11 a 4 che mette alcune sigle sindacali a rischio di perdere potere di trattativa. La Madia, quindi, scarica le responsabilità sulla controparte, addossando le colpe di questo immobilismo ai lavoratori. Non si sottolinea però l’aspetto economico dello sblocco, che viene visto dai sindacati come una specie di contentino, di mancia. Infatti, lo stallo è dovuto anche alla cifra stanziata che, divisa tra gli oltre 3 milioni di dipendenti pubblici, significa neanche 10 euro al mese a testa per ogni lavoratore. Tutto ciòa fronte di oltre sei anni in cui lo stipendio dei lavoratori è rimasto inalterato, senza essere adeguato alla nuova inflazione.