Con il decreto attuativo recentemente emanato, il nostro Esecutivo ha lanciato un nuovo strumento previdenziale, il part-time pensione. La definizione con cui viene comunemente chiamato il provvedimento, lo vuole inserire nel capitolo pensionistico, ma non si tratta di una pensione anticipata o di un prepensionamento vero e proprio. Il part-time pensione non è altro che la riduzione di orario di lavoro concessa a chi si trova a pochi anni dal raggiungimento dei requisiti necessari per uscire dal lavoro. Nemmeno il tempo di far partire il provvedimento che subito si sono scatenate le critiche, le polemiche ed i partiti del pro e del contro il provvedimento stesso.

Vediamo le caratteristiche dell’istituto per capire bene a chi conviene ed a chi no.

Impatto sui contributi e sui salari

Il provvedimento - inserito nella legge di Stabilità 2016 e attuato nei giorni scorsi con il decreto di Poletti - che consentirebbe a coloro che si trovano a 3 anni dalla pensione, di ridurre l’orario di lavoro anche del 60% è una novità per il nostro sistema pensionistico. Il lavoratore che rientrerebbe in questa possibilità, lavorerebbe di meno in termini di orario, rimettendoci meno dei due terzi dello stipendio. La regola è abbastanza chiara, il lavoratore andrà a percepire una busta paga con stipendio ridotto in base alle ore di lavoro svolte, ma si troverà in più un bonus pari ai contributi che il datore di lavoro non verserà all’Inps, cioè del differenziale contributivo tra contributi per lavoro a tempo pieno e contributi da part-time.

In termini pratici, cioè che il datore di lavoro risparmierà come contributi da versare, sarà girato nella busta paga del lavoratore che quindi dovrebbe perdere poco in termini di salario. Per quanto riguarda i versamenti pensionistici, il minor gettito che sarà caricato al lavoratore, verrà compensato dall’INPS come contribuzione figurativa, in modo tale che la pensione che percepirà dopo i tre anni di part-time, sarà la stessa che avrebbe percepito lavorando normalmente ed a tempo pieno.

Confindustria e sindacati scettici

Gli scettici sono quelli che credevano di trovarsi di fronte ad un provvedimento nell’ottica della flessibilità. Inoltre, come capita spesso per interventi legislativi di questo genere, ad una platea di possibili beneficiari, se ne contrappone una di esclusi che di fatto amplia il malcontento.

Il provvedimento si applica ai lavoratori del settore privato, quindi sono esclusi i lavoratori statali, anche se un passaggio del Decreto Milleproroghe, dovrebbe rendere il provvedimento utilizzabile anche tra i dipendenti pubblici. Tagliati fuori anche i precoci perché l’istituto si applica a soggetti con una età di almeno 63 anni, mentre questi lavoratori si trovano con un’età anagrafica tale che aggancerebbero la pensione entro il 2018, ad una età inferiore a quella di vecchiaia, cioè 66 anni e 7 mesi. Tutti i datori di lavoro, a prescindere dalla dimensione aziendale e quindi dal numero dei dipendenti possono rientrare in questo nuovo strumento. Secondo Confindustria, il provvedimento è di nicchia, non riguarda la flessibilità pensionistica, ma la riorganizzazione del lavoro nelle aziende.E' probabile che sarannoleaziende che hanno dipendenti altamente qualificati, il cui lavoro a tempo pieno non è più necessario, ma serve ancora la loro indubbia esperienza, ad utilizzarlo.

Questo il pensiero degli industriali, con una punta di scetticismo che va di pari passo con quella dei rappresentanti dei lavoratori a cui suona strano che un lavoratore rinunci ad unaparte di stipendio, quella che non sarà recuperata grazie al bonus in busta paga. Senza calcolare l'aumento del costo orariodel lavoro. Favorevole alle aziendeil fatto che esse nonsono obbligate a sostituire i lavoratori nelle ore lasciate vacanti dagli stessi come per la staffetta generazionale, ma questo per i sindacati potrebbe non bastare.