Fino a qualche giorno fa si accusava il Governo di immobilismo sul fronte Pensioni, sulla riforma del sistema previdenziale che da molti è ritenuta necessaria. Il Premier Matteo Renziha pubblicamente esposto il piano del Governo per una possibile modifica al sistema pensionistico da introdurre nella prossima Legge di Stabilità, lanciando di fatto un nuovo strumento previdenziale, l’APE, cioè anticipo pensionistico. A vederla bene però, sembra che l’unico fatto positivo della novità in via di studio, sia solo il fatto che il Governo sembra deciso a prendere di petto la riforma.

Infatti, uno studio molto dettagliato della Uil, dimostra come l’APE sia molto penalizzante per i futuri pensionati, quindi difficilmente opzionabile dai lavoratori.

L’APE, penalizzazioni tra reddito ed anni di anticipo

Il provvedimento è ancora allo stato embrionale, perché si tratta solo di una idea generica che adesso va limata ed approfondita. La pensione erogata anche con 3 anni di anticipo rispetto agli attuali 66 anni e 7 mesi previsti, sarà variabile in funzione della tipologia di soggetto che la richiederà e del momento in cui la scelta sarà opzionata. Il dato certo è che l’anticipo concesso non sarà gratuito, cioè ai pensionati sarà chiesto un sacrificio che in concreto significa rinunciare ad una parte di pensione, fin che morte non ci separi”.

La penalizzazione prevista sarà in media del 4% ad assegno, ma come dicevamo, molto varierà in base a determinati fattori. Allo studio, infatti, un meccanismo che consenta di penalizzare tra il 2% ed il 3 % le pensioni più basse e di salire oltre l’8% per le pensioni di importo superiore a tre volte il minimo. Penalizzazione inferiore sarebbe prevista anche per i disoccupati di lunga data, quelli che, essendo senza tutele e quindi senza reddito, sarebbero attratti dalla pensione a prescindere dal taglio, rispetto a coloro che userebbero questa possibilità come uscita volontaria, per motivi personali, ma non reddituali.

Pensione prima del previsto, ma in prestito

Sempre in base alle indiscrezioni, la pensione concessa in anticipo, sarebbe pagata da un istituto di credito, cioè da una banca e quindi in prestito. Sarà il pensionato, una volta raggiunta l’età per la pensione vera e propria, cioè a 66 anni e 7 mesi, a restituirla con rate mensili sull’assegno stesso.

Proprio su questo punto, il centro studi della UIL ha sottolineato la pesantezza che la misura avrebbe sui futuri pensionati. La UIL ha preso ad esempio una pensione di milleeuro al mese, chiaramente concessa in anticipo, ma con un solo anno, cioè intorno ai 65 anni. La pensione concessa in prestito dalla banca, quasi sicuramente sarà caricata di interessi, anche se più bassi di quelli di un normale finanziamento bancario. Cosa significa? Che oltre al taglio della pensione, perché accettarla in anticipo significherebbe percepire al mese meno di quello che si sarebbe percepito attendendo il giorno del completamento dei requisiti, nel momento di restituirla, si pagherà qualcosa in più.

I tecnici, nell’ipotesi della pensione da milleeuro, prevedono che il pensionato con un anno di anticipo, debba restituire 13milaeuro, cioè le 13 mensilità lorde.

Sempre ipotizzando il 3,5% di interesse, la UIL dimostra che se gli interessi saranno a carico del pensionato, lo stesso dovrà accettare un assegno, al netto di tasse e rata del prestito (87 euro al mese), di 788 euro circa al mese. Anche se lo Stato si facesse carico di restituire a sue spese gli interessi, lasciando al pensionato l’onere del capitale, si tratterebbe di percepire una pensione netta di 807 euro circa al mese. Per una pensione che partiva da mille euro, il taglio sembra eccessivo, si perderebbe una mensilità di pensione all’anno. Naturalmente, importi, cifre e penalizzazioni, sarebbero più gravi se gli anni di anticipo fossero più di uno.