Quando si risiederanno al tavolo della discussione, cioè giovedì 23 giugno, Governo e sindacati dovranno tornare ad affrontare il tema dell’APE, l’assegno anticipato che risponde alle richieste di flessibilità pensionistica. Se dal punto di vista strutturale ormai il provvedimento è bello e pronto, cioè il meccanismo del prestito bancario che i pensionati in anticipo riceveranno dall’INPS e che inizieranno a restituire dopo i 66 anni, la discussione verterà sulle modalità di restituzione e sull’ammontare delle rate. Nonostante sembra sfumare qualsiasi idea di correggere la Legge Fornero che in effetti rimarrà così com'è, ciò di cui si parlerà sarà molto importante perché, di fatto, si stabilirà cosa dovranno lasciare “sul campo” i pensionati per lo sconto ricevuto sull’età pensionabile.
Il Governo continua a dire che non è una penalizzazione
Solo il rateo del prestito da restituire, nessuna penalizzazione di assegno sarà applicata alle Pensioni erogate a partire dai 63 anni e 7 mesi. Questo, in sintesi, ciò che viene fuori dalle dichiarazioni dei rappresentanti del Governo. Ma ciò non vorrà dire che i 3 anni di anticipo rispetto agli attuali 66 e 7 mesi con cui si può accedere alla pensione di vecchiaia siano un regalo, cioè siano senza sacrificio alcuno chiesto ai cittadini. Il rateo da restituire, infatti, sembra possa arrivare anche a toccare il 20% della pensione che l’anticipatario inizierà a percepire una volta raggiunta l’età Fornero. E non parliamo certo di pensioni d’oro o di molte migliaia di euro.
Infatti, la base contributiva necessaria per l’APE è fissata a 20 anni come soglia minima, ed oggi con 20 anni di contributi versati non ci si può aspettare una super pensione.
Si studiano correttivi, ma le parti sono distanti
Non si correggerà la Fornero, e questo è un fatto che allontana le parti sedute al tavolo, con i sindacati che auspicavano una piena riforma ed una vera flessibilità,mentreil Governo resta fermo sull'obiettivo di preservare le finanze pubbliche.
In definitiva, anticipo sì ma a spese del lavoratore, e pagato da una banca a cui dovranno tornare i soldi a rate mensili per 20 anni. Anche se non si vuole sentire parlare di penalizzazione o di taglio di assegno, a tutti gli effetti di questo si tratta: 20 anni significa superare l’aspettativa di vita o quasi, cioè arrivare a pagare fino a 87 anni.
In altre parole, per tutta la vita il pensionato dovrà percepire una pensione ridotta per via delle rate, a meno che non si sia tanto fortunati da arrivare a sfiorare i 100 anni. Per chi percepisce 1.000 euro al mese (con 20 anni di contributi, l’importo sarà più o meno questo per la maggior parte degli aventi diritto all’anticipo) la rata potrebbe essere da 72 euro al mese per anno di anticipo. Per l’uscita a 63 anni e 7 mesi quindi, la rata sarà di 216 euro, cioè la retribuzione scenderà da 1.000 euro a 784 euro al mese per 20 anni, fino all’ottantasettesimo compleanno.
Per pensioni da 1.500 euro si perderanno anche 324 euro, mentre per 3.000 euro di assegno, il "salasso" sarà di 650 euro al mese.
Nell’incontro tra le parti si cercherà di smussare alcune particolarità del provvedimento. Magari si punterà ad utilizzare i fondi di previdenza complementari per coloro che hanno effettuato versamenti. Ma sono pur sempre soldi dei lavoratori, quindi significherebbe abbassare la rata utilizzando i risparmi dei pensionati. Altra soluzione è provvedere a scaglionare le rate coni relativi interessi, facendo pagare di meno ai lavoratori in condizioni precarie e di disagio reddituale. In questo caso bisogna vedere chi si accollerà la parte di denaro mancante da restituire alla banca. Insomma, tutto in alto mare, ed il 23 si spera che qualcosa venga chiarito meglio.