La discussione sulla riforma delle Pensioni continua a riempire le pagine di giornali, i blog, gruppi di discussione e pagine web. La via tracciata dal Governo ormai sembra quella della APE, l’anticipo pensionistico con pensione erogata in prestito dalle banche. Un articolo pubblicato sull’autorevole quotidiano il Corriere della Sera, parla di pensioni “Fai da te”, cioè con libera scelta lasciata al lavoratore che potrà optare per tre soluzioni. Osservando la situazione che si sta creando però, sembra quasi che il Governo e quindi Inps ed Erario, vogliano defilarsi su questo tema, riformando il sistema previdenziale ed assumendo un ruolo di solo osservatore o quasi.

APE, RITA, banche ed assicurazioni

Dell’APE ormai si è detto già tutto, con la pensione anticipata a partire dai 63 anni di età, erogata dalle banche sotto forma di prestito, con i lavoratori che dovranno restituirla una volta andati in pensione, con le assicurazioni a coprire le banche in caso di prematura morte del pensionato e con INPS e Stato a fare da spettatori o da semplici garanti. Da qualsiasi punto di vista si guardi questa proposta che proviene proprio dal Governo, questo è il risultato in sintesi di come potrebbe essere la flessibilità concessa ai lavoratori. Il problema è che un lavoratore che ha versato contributi per la propria pensione futura, vorrebbe che sia il fondo dove sono confluiti i soldi a restituirglieli come merita sotto forma di assegno pensionistico.

Infatti, tutto quello che in questi giorni viene aggiunto all’APE ed a tutta la struttura della flessibilità in uscita su cui si sta lavorando, non prescinde da un fondamentale principio: Le casse dello Stato devono restare fuori da questi assegni di pensione anticipati. Ecco quindi che sono state ideate altre soluzioni come la Rendita Integrativa Temporanea Anticipata (RITA) per coloro che hanno versamenti nelle Casse Previdenziali Complementari ed ecco perché si cerca di tirare dentro al meccanismo anche le aziende che vogliono svecchiare il proprio organico di dipendenti.

Ai lavoratori l’ardua scelta tra tre possibili opzioni

In definitiva, sarà il lavoratore a scegliere quando anticipare l’uscita dal lavoro a partire dai 63 anni di età e come anticipare. È compito di questi soggetti infatti analizzare la penalizzazione di assegno che subirebbero, se sia conveniente utilizzare in anticipo quanto versato come pensione complementare per evitare di finire “indebitato” con le banche o solo per abbattere parte del montante del prestito concesso sotto forma di pensione.

La base di partenza di tutto il discorso è che l’uscita anticipata non sarà obbligatoria, ma opzionale, cioè il lavoratore sarà libero di scegliere. La prima via possibile sarà accettare l’APE così come, cioè vedendosi penalizzare l’assegno in base agli anni di anticipo ed al proprio reddito ed accettare che questo, venga dato in prestito dalle banche. Una volta finiti i 3 anni di anticipo, cioè quando la pensione sarà effettivamente raggiunta dal pensionato e pagata dall’INPS, il pensionato inizierà in rate mensili e per 20 anni, a restituire i soldi alla banca che ha erogato il prestito pensionistico.

Per chi ha avuto l’idea di integrare la propria pensione futura con versamenti extra alle casse complementari, sarà concesso il beneficio di utilizzare quanto versato per ottenere una pensione anticipata, o prosciugando completamente i soldi versati in questi fondi ed evitando il prestito bancario, o utilizzandoli in parte per ridurre l’importo da restituire. Inoltre, sarà dato mandato alle aziende che vogliono mandare a riposo i vecchi dipendenti, di poterlo fare assumendosi l’onere della spesa fino al compimento dei 66 anni del proprio lavoratore.