I candidati ammessi alla parte orale dell'esame avvocato a breve affronteranno l'ultimo step. Ecco perché abbiamo deciso di intervistare l'avvocato Fernando Rizzo,abilitato a patrocinare innanzi alle giurisdizioni superiori della Corte di Cassazione e del Consiglio di Stato e iscritto al Consiglio dell’Ordine Forense di Messina. Inoltre, è titolare dello 'Studio associato Rizzo & Vadalà Partner'. Lo studio si occupa prevalentemente di diritto del lavoro, sanitario e universitario, oltre a diritto civile e diritto amministrativo in materia di concorsi pubblici.

Esame avvocato: il parere dell'avv. Rizzo

Come funziona la prova orale dell’esame avvocato?

Dopo la prova scritta basata su 3 atti, l'orale riguarda tutti i candidati ammessi che abbiano totalizzato un punteggio minimo di 90 nelle 3 prove. La prova orale si basa su 6 materie di cui 4 a scelta del candidato, 1 fondamentale tra procedura civile o penale, oltre alla prova in deontologia professionale.

Come prepararsi al rush finale?

Tenuto conto che tra la comunicazione degli esiti delle prove scritte e quelli delle prove orali il tempo a disposizione è assolutamente ristretto e data la complessità e vastità delle materie oggetto di esame, fermo restando una buona cognizione di base soprattutto di carattere processuale, è consigliabile preparare le prove su buoni compendi (ad es.

i testi editi da “Simone” o “Nel diritto editore”). Studiare sui manuali sarebbe dispersivo e si rischierebbe di non riuscire a completare le numerose materie oggetto di esame.

Quali consigli si sente di dare ai suoi colleghi?

Il consiglio avrei dovuto darlo prima. In Italia ci sono 248.000 avvocati iscritti all'Ordine Forense con medie altissime nelle regioni più povere come Calabria, Campania, Puglia, Basilicata e Sicilia dove l’utile operativo è la metà di quello di Lombardia e Veneto.

Inoltre la rigidità del sistema forense recentemente introdotto, non distingue più tra aspetti sostanziali della professione e questioni fiscali finendo per penalizzare i più giovani, specie delle regioni povere, che subiscono barriere all'ingresso insormontabili (come il pagamento degli oneri previdenziali di base o delle quote assicurative).

Per questo, in questi ultimi 2 anni, è stato altissimo anche il numero di iscritti che completati i primi 3 anni (con agevolazioni fiscali) finiscono per rinunciare alla toga cancellandosi dall'ordine. Quindi mi sento di consigliare di investire in questa professione solo a chi è fortemente motivato o caratterialmente votato e non a chi si dedica all'attività forense come mero ripiego alla disoccupazione o al fallimento in altri concorsi per magistrato o notaio.

La percentuale di ammissione alla seconda prova diminuisce ogni anno. I suoi colleghi, dopo aver affrontato più volte l’esame per l’abilitazione, decidono di intraprendere strade alternative. Che ne pensa a riguardo?

Credo di avere risposto sopra.

L’esame è sempre più considerato dal Consiglio Nazionale Forense anche su sollecitazioni della Magistratura e del Ministero una barriera all'ingresso. Ha un senso investire solo se si è realmente tagliati, altrimenti si affronta un mero costo che non produrrà ritorni ma solo delusioni e abbandoni.

Non crede più consono uno sbarramento ad inizio carriera, come un test d’ingresso, piuttosto che bloccare l’avvocato in una sorta di ‘limbo’?

Uno dei più grandi errori della politica italiana è l’introduzione dei test di ammissione per taluni dipartimenti come a Medicina o Odontoiatria. Ciò non rappresenta una garanzia di selezione dei migliori, ma solo dei più ricchi che possono permettersi corsi privati a pagamento e dei più scaltri e meglio organizzati.

Al contrario la giusta selezione la forma l’Università come ad es. in Francia. Sarebbe opportuno disciplinare l’accesso alle professioni basata sul numero di anni impiegato e sul voto minimo di laurea, escludendo tutti coloro che hanno profitti bassi o tempi di laurea molto lunghi.