Giornata importante per il tema previdenziale quella di oggi 6 luglio. Infatti alle ore 10:00, presso la sala stampa della Camera dei Deputati, ci sarà la conferenza stampa sulla petizione a sostegno del DDL 857 di Damiano, petizione che ha raccolto in rete 50mila firme. Il risultato non fa altro che confermare l’esigenza diffusa nei lavoratori, di vedere cancellata o almeno rivista la ormai celeberrima riforma Fornero. La petizione sponsorizzata da Lavoro&Welfare e da Progressi, due associazioni di lavoratori, sarà depositata oggi. Servirà per spronare il Governo ad un intervento serio e deciso sul tema previdenziale?
Ma allora l’APE non serve a niente?
Punto primo di tutte le problematiche previdenziali è la Legge Fornero, quella che dal 2012, ha iniziato a vessare gli italiani aumentando i requisiti necessari per andare in pensione, sia anagrafici che contributivi e di conseguenza allontanando nel tempo le date utili ai lavoratori per la propria quiescenza. Per tutti, la Legge Fornero va cambiata o cancellata, perché se è vero che era utile ai tempi della sua emanazione, quando la crisi e lo spread erano minacce molto serie, adesso che secondo il Governo si vedono segni di una piccola ripresa, si dovrebbe intervenire per risistemare la situazione. Per la pensione di vecchiaia, la Fornero ha issato i limiti anagrafici da raggiungere insieme ai 20 anni di contributi minimi, a 66 anni e 7 mesi.
Per la vecchia pensione di anzianità, quella che oggi è chiamata pensione anticipata, i limiti contributivi sono arrivati a 42 anni e 10 mesi. Lo spostamento in avanti dei requisiti ha impattato anche su Pensioni sociali, di invalidità e così via, in parole povere, su tutto il palcoscenico previdenziale. L’idea di flessibilità del Governo, l’APE, riguarda una pensione prestata per massimo 3 anni da una banca, con obbligo di restituirla a rate fino ad 86 anni, tutto fa tranne che eliminare la Fornero.
Infatti, il limite di età per la pensione di vecchiaia (oggetto dell’APE) resta sempre 66 anni e 7 mesi. L’uscita a 63 anni prevista dall’APE, sarà una sorta di prestito che il pensionato restituirà a partire dai 66 anni e 7 mesi, quando cioè percepirà davvero la pensione, quindi secondo le regole Fornero.
Quota 41 e flessibilità Damiano
Ecco che qui interviene la proposta di Damiano, quella depositata dalla scorsa legislatura e che non si è mai avuto il coraggio di approvarla. La flessibilità per Damiano e quindi per la petizione va concessa a partire dai 62 anni e 7 mesi. Gli assegni erogati in anticipo devono essere penalizzati in maniera crescente quanti più anni prima si esce dal lavoro. La penalizzazione massima deve essere del 2% annuo, quindi con un massimo dell’8% per 4 anni di anticipo. Il taglio di assegno produrrebbe quei vantaggi nel medio lungo termine per le casse statali che renderebbe il provvedimento economicamente sostenibile per lo Stato. La pensione poi, deve essere elargita, pagata e finanziata senza l’intervento di banche ed istituti di credito, quindi in controtendenza rispetto a quanto previsto dall’APE.
La questione precoci poi merita una particolare attenzione perché per loro che sono soggetti che hanno iniziato a lavorare in tenera età, dovrebbe essere concessa la pensione al raggiungimento di quota 41 di contributi versati. In questo caso senza penalizzazioni e senza limiti di età. Stesso discorso per gli usuranti, cioè quelle attività lavorative particolarmente pesanti che non possono tenere al lavoro persone troppo in là con gli anni. La platea dei lavori usuranti va allargata e vanno rivisti i requisiti necessari per la pensione anticipata. Un occhio di riguardo Damiano lo ha anche per le donne, la cui opzione di uscita anticipata deve essere necessariamente estesa ad altre lavoratrici rispetto alla sperimentazione prevista dal provvedimento e chiusa al 31 dicembre 2015.