La riforma previdenziale stenta a decollare, con le domande di accesso alle nuove misure che ancora non è possibile presentare. La data del 1° maggio, quella in cui sarebbero dovute partire ufficialmente le misure, non è stata rispettata dal Governo. Il tutto bloccato dai decreti attuativi che ancora devono essere emanati e dagli appunti mossi dal Consiglio di Stato sull’unico che è uscito dal Consiglio dei Ministri, quello sull’Ape sociale. I precoci scendono di nuovo in piazza e tornano a chiedere correttivi alla misura loro dedicata, cioè Quota 41 che ad oggi presenta numerosi punti interrogativi e soprattutto, numerosi vincoli che lasciano fuori molti lavoratori, dalla pensione a 41 anni di contributi.
intanto, spuntano ipotetiche proroghe per le domande che dovevano essere presentate tra il 1° maggio ed il 30 giugno. sembra certa la proroga per la presentazione delle istanze, quanto meno al 15 luglio, anche se nell'incontro odierno, i sindacati spingeranno per portare la scadenza al 31 luglio.
Paletti che discriminano lavoratori
Una cosa certa è che al termine quota 41, l’interpretazione data dal Governo è sostanzialmente diversa da quella che danno i lavoratori precoci che riempiono i gruppi Facebook ed i comitati. I lavoratori chiedono quota 41 per tutti, indicando il limite massimo di contributi, raggiunto il quale, sarebbe giusto e doveroso concedere la pensione a tutti. Per il Governo invece, quota 41 è destinata solo a determinati soggetti che rientrano in pochi profili meritevoli di tutela.
Il concetto di precoce viene parzialmente disatteso da quanto stabilito dal Governo, perché precoce, in linea di massima dovrebbe essere colui che ha iniziato al lavorare prima della maggiore età. Per l’Esecutivo, precoce è colui che raggiunge 41 anni di contributi, ne ha almeno uno versato prima dei 19 anni di età e che rispetta altri 3 parametri, da centrare in alternativa tra loro.
Infatti bisogna essere disoccupati con 3 mesi di vuoto reddituale, cioè senza percepire più gli ammortizzatori sociali destinati proprio alla perdita del lavoro. Oppure, bisogna essere invalidi o con invalidi a carico, in entrambi i casi, con almeno il 74% di invalidità accertata dalle Commissioni Asl.
Infine, si può essere considerati precoci da tutelare, se il lavoro svolto rientra tra le 11 categorie di lavoro gravoso come previsto in Legge di Bilancio.
In questo caso però, oltre alla tipologia di lavoro, va rispettato il vincolo di continuità lavorativa in 6 degli ultimi 7 anni prima di presentare domanda. Una serie di paletti che riducono la platea degli aventi diritto e che allo stesso tempo, rischiano di far centrare la pensione a qualcuno e di tagliare fuori un altro, magari con una tipologia di lavoro o di condizione simile.
Per i precoci, nemmeno l’anticipo pensionistico
Nell’incontro di domani, probabilmente i sindacati torneranno a chiedere correttivi, quelli di cui tanto si parla in queste ultime ore. Allungare da 7 ad 8 anni il periodo utile per maturare il requisito dei 6 anni di assunzione necessaria, come richiesto dai sindacati, sarebbe importante, ma non sufficiente.
Ai precoci, stando alle norme attuali di quota 41, ma anche dell’Ape nelle sue varie versioni, verrebbe preclusa qualsiasi via per lasciare il lavoro prima dei canonici 42 anni e 10 mesi che servono oggi per la quiescenza di anzianità (oggi si chiama pensione anticipata). Infatti, anche trovandosi a meno di 3 anni e 7 mesi di contributi da versare per centrare i 42 anni e 10 mesi, ai precoci non viene concesso nemmeno il prestito pensionistico che è l’Ape volontario.
Un precoce, non avendo ancora raggiunto i 63 anni di età, anche con 41 anni di contributi, non può chiedere nemmeno il prestito che viene concesso solo a lavoratori con almeno 20 anni di contributi, ma con 63 anni di età. In pratica, quota 41 così come sembra verrà fatta partire, è una misura iniqua e discriminatoria, ben lontana dalla quota 41 per tutti e soprattutto, che lascia i precoci, tra i soggetti maggiormente penalizzati dalla riforma Fornero che tutto si è fatto, tranne che cambiare.