Succede dall'altra parte del mondo, in Nuova Zelanda, dove la società Perpetual Guardian sta sperimentando questa nuova formula di lavoro: si lavora solo quattro giorni, ma si viene pagati per cinque.

Creare un ambiente di lavoro adeguato al ventunesimo secolo, questo l'obiettivo dichiarato dal fondatore, l'inglese Andrew Barnes e aggiunge che la sperimentazione verrà estesa a tutti i dipendenti, circa 200, che lavorano in 16 uffici.

L'annuncio è stato accolto dai dipendenti tra risate e incredulità, così racconta la trentanovenne Korsten Taylor intervistata dal Guardian.

Troppo bello per essere vero, questo il commento dei Lavoratori quando hanno realizzato che non si trattava di uno scherzo ma di un'opportunità unica.

Si lavorerà dal lunedì al giovedì, otto ore e poi i dipendenti avranno a disposizione un lungo fine settimana, mentre in altri Paesi del mondo si è spesso costretti a lavorare anche durante il week end.

Sei settimane di test e poi se, come previsto, la nuova organizzazione del lavoro funzionerà dal 1 luglio diventerà il nuovo modus operandi alla Perpetual Guardian. Sei settimane e il sogno di ogni lavoratore diventerà realtà, purtroppo solo in Nuova Zelanda.

Tutelare la vita privata del lavoratore

Barnes si è reso conto di un problema che accomuna tutti i lavoratori, quello di non avere tempo per sbrigare i propri impegni extra lavorativi e questo molte volte comporta che durante l'orario d'ufficio i dipendenti si assentino per motivi personali.

Tutte distrazioni che alla fine si pagano con una minore concentrazione e focalizzazione sull'attività lavorativa.

Se invece si concede ai lavoratori del tempo per poter portare a termine i propri impegni extra lavorativi, saranno più concentrati ed efficienti sul posto di lavoro e daranno risultati maggiori. Di questo è pienamente convinto Barnes.

I dipendenti avranno così anche più tempo da trascorrere con le famiglie, gli amici o per coltivare le proprie passioni. Durante i quattro giorni in cui lavoreranno saranno più soddisfatti e perché no ricchi di nuovi stimoli e idee.

Barnes racconta che l'impatto dell'annuncio della settimana corta sui dipendenti ha suscitato delle reazioni che lo hanno commosso.

Mi ha cambiato la vita, si è sentito dire con gratitudine da una madre single, cosa che letteralmente gli ha fatto venire un nodo in gola per l'emozione.

Nonostante In questo momento non ci siano problemi di rendimento per i lavoratori della Perpetual Guardian, anzi l'impegno è altissimo, Barnes ha deciso di sostenere questa iniziativa, solamente perché lo ritiene giusto.

La ricerca del giusto compromesso negli altri Paesi

Ridurre l'orario di lavoro è un argomento che sta suscitando molti dibattiti in diverse parti del mondo. Pochi giorni fa in Germania il sindacato e l'industria metalmeccanica hanno siglato un accordo che consente ai lavoratori di usufruire, su base volontaria, di una diminuzione dell'orario di lavoro a 28 ore settimanali per un periodo che va da un minimo di sei mesi a un massimo di 24.

La settimana corta è fortemente sostenuta anche dall'Autonomy Institute inglese, che auspica l'introduzione della settimana lavorativa di quattro giorni perché questo favorirebbe la distribuzione del lavoro e incrementerebbe la produttività.

Anche in Svezia, in un istituto di cura, si sta sperimentando una riduzione dell'orario di lavoro, portandolo a 6 ore al giorno. I risultati sono positivi dal punto di vista dell'assenteismo, con una riduzione del 10% delle assenze per malattia e da quello della soddisfazione dei dipendenti, ma la contropartita è stata un aumento dei costi aziendali del 20%.

La classifica dei Paesi virtuosi

Secondo l'Ocse, il Paese dove si lavora meno ore è la Germania (1.363 ore/anno), seguita dalla Danimarca (1.410 ore/anno), Norvegia (1.424 ore/anno), Paesi Bassi (1.430 ore/anno) e Francia (1.472 ore/anno).

Con 1.730 ore/anno l'Italia si posiziona a metà della classifica Ocse. In Nuova Zelanda si lavora mediamente 1.752 ore/anno, valore in media con gli altri Paesi. Chiude la classifica il Messico, il Paese dove si lavora di più, con ben 2.250 ore all'anno.

Intervistata dal Guardian, Elizabeth George, professoressa dell'University of Auckland ed esperta di pratiche di lavoro, ha espresso la convinzione che l'esempio della Nuova Zelanda sarà un modello per altre aziende e che sarà molto interessante comprendere come arriveranno al successo.

La sfida sarà dimostrare che dipendenti più sani e soddisfatti contribuiscono al successo di un'azienda. Tutti i lavoratori incrociano le dita perché l'esperimento funzioni e sia poi il nuovo standard di lavoro.