Le elezioni politiche del 4 marzo hanno espresso due sicuri vincitori, la Lega ed il Movimento 5 Stelle. I primi sono i più votati della coalizione di centrodestra che ha il numero di parlamentari eletti maggiore, mentre i secondi sono il partito più votato in assoluto. Sul tema della previdenza queste due forze politiche erano tra le più dure a contestare la Legge Fornero su cui il sistema previdenziale ancora oggi si basa. Una durezza estrema, con l’abrogazione o cancellazione della Legge Fornero che è stata più volte ribadita in campagna elettorale e che probabilmente ha dato un grosso aiuto al successo dei due partiti in questa tornata elettorale.
L’argomento previdenziale è sempre uno di quelli maggiormente interessanti per l’opinione pubblica e soprattutto una riforma previdenziale che elimini la Fornero dalle pensioni ha notevole appeal. Adesso che si faccia o no il Governo a guida di uno dei due vincitori, l’abolizione della Fornero potrebbe essere una realtà, sempre che dalle parole si passi ai fatti. Ma come cambierebbero previdenza e modalità di accesso alle pensioni cancellando l’ultima riforma di cui si ha memoria?
Le pensioni di anzianità
Esistono due grandi pilastri su cui l’ordinamento previdenziale si poggia da sempre, cioè le pensioni legate all’età anagrafica e quelle legate ai contributi. La pensione di vecchiaia è quella che prevede un'età pensionabile legata ad un numero non troppo elevato di contributi versati.
Oggi questa pensione di vecchiaia si centra con 20 anni di versamenti e 66,7 anni di età senza distinzioni di genere. Nel 2019 si passerà a 67 anni non solo perché lo aveva già deciso la Fornero, ma anche perché è stato ribadito dall’ultimo Governo con un decreto ad hoc. Il primo tassello di una nuova riforma è eliminare questo inasprimento di età pensionabile legato all’aspettativa di vita.
Le pensioni di anzianità, quelle scollegate da requisiti di età, sono state del tutto cancellate dalla Legge Fornero che le ribattezzò pensioni anticipate e ne inasprì sensibilmente i requisiti. Oggi si va in pensione a prescindere dall’età con 42 anni e 10 mesi di contributi versati per gli uomini ed un anno in meno per le donne.
Nel 2019 5 mesi in più per tutti i contributi necessari che supereranno i 43 anni per i maschi. Cancellare la riforma Fornero significherebbe tornare alle vecchie pensioni di anzianità, quelle che si centravano con 40 anni di contributi esatti.
Problemi di coperture
Tecnici, analisti e Governo uscente hanno da sempre ribadito il concetto che mettere mano alle pensioni in maniera così radicale come dicevano di voler fare i partiti per così dire “populisti” era impensabile. Il sistema non può permettersi di cancellare la Fornero per via degli alti costi che dovrebbe sopportare lo Stato che proprio grazie alla Fornero ed alle pensioni spostate negli anni ha avuto notevoli risparmi. Sta a chi avrà l’incarico di fare il Governo, Lega o M5S che sia il compito di fare ciò che è stato promesso e mettere in pratica le loro idee di copertura.
Anche non tornando indietro del tutto, cioè cancellando la Fornero, l'ideale sarebbe arrivare ad una profonda revisione. Ecco che tornano in auge le pensioni di anzianità con Quota 41. Una misura differente da quella già in vigore e destinata ad una platea esigua di lavoratori precoci. Infatti quota 41 esiste già ma viene concessa con requisiti particolarissimi e soprattutto a soggetti dichiaratamente bisognosi di aiuti assistenziali come gli invalidi, i disoccupati ed i caregivers, o alle prese con mansioni gravose. Una quota 41 che diventerebbe la pensione di anzianità di quella che oggi qualcuno definisce la Terza Repubblica. Poi ci sarebbe la quota 100, una sorta di misura intermedia e flessibile tra la pensione di vecchiaia e la pensione di anzianità.
Si utilizzerebbe la somma algebrica di età e contributi versati, con l’utilità del calcolo aperto anche alle frazioni di anno e non solo all’anno intero. Chiunque sommando età e anni di lavoro raggiunga la quota 100 potrebbe lasciare il lavoro senza ulteriori attese.