Si usa dire che il futuro sia già qui. In effetti il mondo descritto da Asimov sembra sempre meno lontano, soprattutto ora che l'intelligenza artificiale si sta diffondendo a velocità esorbitante attorno a noi e le macchine stanno lentamente prendendosi il loro posto nella società. Automobili intelligenti, smartphone che prevedono ogni mossa e sanno accontentare anche il più minimo desiderio. Per alcuni, questo è il paradiso. Per altri invece, questa situazione sta diventando un incubo. Come per un operaio sessantunenne di origini marocchine e con una grave disabilità, che si è visto mandare a casa dall’azienda in cui lavorava da oltre trent’anni perché il suo posto di lavoro era stato occupato da una macchina.
Quando il progresso vince sull'uomo
La ‘Paint Cap Applicator' è la ragione data dalla Grief Italia S.P.A, una succursale italiana di una grande multinazionale con sede a Melzo, in provincia di Milano, per cui la presenza dell’operaio sarebbe totalmente un più non richiesto. Essa infatti svolgerebbe il medesimo impiego dell'uomo, cioè il posizionamento di tappi provvisori su contenitori appena usciti dalla macchina di produzione, prima che essi vengano verniciati ed ultimati. Con l'invenzione di questo marchingegno, la vita professionale del sessantunenne viene spazzata via. Reso completamente inutile all'azienda per una macchina. La ricerca del lavoro era già diventato un problema grave a causa della grande competizione tra uomini.
Il progresso questa volta non sembra dalla parte dell'essere umano. Questo destino non è infatti toccato solo all’impiegato marocchino, ma anche a molto altri che ormai da anni si vedono soppiantati in nome del progresso. Naturale è chiedersi se può esistere un ‘progresso' senza l'uomo.
I tentativi del sessantunenne
Questa è senza alcun dubbio la domanda che si pone l’operaio, che sta facendo di tutto per cambiare la sua situazione.
Anche i sindacati non paiono però riuscire a trovare un accordo, nonostante l'età avanzata dell'uomo, prossimo alla pensione e con una grave disabilità (nel 1991 ha infatti perso disgraziatamente una mano). Tutti fattori che di fatto gli rendono ardua e lontana la possibilità di trovare un altro lavoro. La sua vita era quell’umile impiego.
Secondo l’avvocato penalista Mirko Mazzali a cui la vittima si è rivolta, l’accaduto è oltremodo increscioso. Come si può, secondo lui, anche solo pensare di sostituire una persona vivente, soprattutto nelle sue condizioni, con una macchina appena inventata?