Il lavoro domestico ormai può essere considerato alla stregua di tutte le altre tipologie di lavoro dipendente. Anche il lavoro di badanti, colf, giardinieri e così via è regolamentato da un proprio contratto collettivo. Il settore però presenta sempre le particolarità che da sempre lo contraddistinguono, prima tra tutti la figura del datore di lavoro che per esempio non è tenuto a rilasciare buste paga o Cud (bastano semplici ricevute) e non funge da sostituto di imposta. Nel 2018 lo stipendio minimo per questi lavoratori è stato aggiornato ai tassi inflattivi e sempre il 2018, passerà alla storia per aver messo i luce il problema della durata dei riposi giornalieri da concedere ai lavoratori.

Fu la Cassazione mesi fa infatti a stabilire in 11 ore consecutive il riposo giornaliero imprescindibile per la lavoratrice o il lavoratore. La Corte di Cassazione dicevamo, perché sovente, le vicende del lavoro domestico finiscono nelle aule dei Tribunali proprio per le particolarità del lavoro stesso che spesso presenta il datore di lavoro che è anche il soggetto bisognoso di assistenza o la lavoratrice che convive con il datore di lavoro/assistito. Non sarà epocale come quella sulle ore di riposo, ma una recente ordinanza sempre della Cassazione, la n° 15604 del 14 giugno scorso, può essere molto rilevante perché tratta del lavoro straordinario della badante.

Alla badante non spetta lo straordinario se non era stato previsto al momento del contratto

Quantificare le ore di lavoro quotidiane di una badante è alquanto difficile. Come dicevamo, le ore di riposo al giorno spettanti sono 11 e devono essere prese consecutivamente. Resta il fatto che una lavoratrice che presta assistenza ad un soggetto non autosufficiente, potrebbe essere chiamata a lavorare anche in ore diverse da quelle canoniche, come magari la notte con l’anziano che chiede aiuto.

La Cassazione nell’ordinanza stabilisce che colf e badanti non hanno diritto agli straordinari pagati in misura separata dal normale stipendio se non vi è il cosiddetto patto di conglobamento, cioè se non è stato espressamente inserito in sede di stipula di contratto o nella lettera di assunzione. Questo, a maggior ragione se nel contratto, viene inserito un orario di lavoro giornaliero superiore a quello normale.

La decisione della Cassazione

La Cassazione nello specifico ha dato ragione al datore di lavoro di una domestica assunta in nero alla quale erano già stati dati i soldi relativi alle differenze retributive derivanti dall’illecita pratica del lavoro nero ma non gli straordinari. Per i giudici è necessario mettere nero su bianco tutte queste eventuali voci di retribuzione extra in sede di stipula del contratto perché altrimenti non è possibile presumere che lo stipendio erogato sia da riferire solo alla sua parte ordinaria. In pratica, per vedersi riconoscere il lavoro straordinario e per vederselo pagare a parte, la voce lavoro straordinario deve essere iscritta nella lettera di assunzione o nel contratto, in modo tale da permettere all’organo giudicante di poter quantificare il dovuto al lavoratore. In assenza di questo specifico richiamo, nulla si può opporre alla presunzione del fatto che la paga stabilita agglomeri anche l’eventuale lavoro straordinario.