La riforma delle Pensioni del Governo Conte non è ancora stata partorita ma lascia già più di qualche dubbio negli italiani. Da diverse analisi condotte dal quotidiano “Il Sole 24 Ore”, si mettono in luce tutti gli aspetti più discutibili sia di quota 100 che di quota 41. In primo luogo, la platea di soggetti interessati alle novità sembra presentare discriminazioni territoriali e di tipologia di lavoro svolto. Una cosa certa è che quota 100 e quota 41 sono misure che se mai dovessero nascere, apporterebbero sostanziali vantaggi a molti lavoratore.

Ma pensare che bastino queste due misure a risolvere tutti i problemi che il sistema ha ereditato dalla riforma Fornero è esercizio azzardato. Molti sono i lavoratori che dovrebbero ancora fare i conti con i rigidi requisiti imposti dall'ultima riforma previdenziale, nonostante l'ingresso in scena delle due novità.

Necessarie carriere lunghe e continue per ottimizzare il nuovo sistema pensioni

Il Sole 24 Ore in un suo articolo del 22 giugno è chiaro nell’analizzare le due misure. Come ribadito ieri da Salvini alla trasmissione Agorà su Rai Tre, si dovrebbe partire da quota 100, probabilmente nella prossima Legge di Bilancio in esame da ottobre. Poi si passerà all’altra importante misura, quota 41.

Quota 100 permetterebbe ai lavoratori che, sommando età e contributi, completano la soglia, di lasciare il lavoro ma solo a partire dai 64 anni di età. Evidente che saranno necessari 36 anni di contributi previdenziali per un sessantaquattrenne, o 35 e 34 per chi ha 65 o 66 anni. Un montante contributivo di tutto rispetto, cioè carriere lavorative abbastanza lunghe.

Con quota 41 si sale ancora di più in termini di continuità lavorativa e non potrebbe essere altrimenti perché si tratta in effetti, della nuova pensione di anzianità. Con 41 anni di contributi versati si potrebbe lasciare il lavoro senza nessun vincolo o limite di età anagrafica. Il Sole 24 Ore ribadisce il concetto che queste siano misure che avvantaggiano soggetti con carriere lunghe, durature e continue e che naturalmente, svantaggiano chi non riesce o non è riuscito a trovare lavori stabili.

Differenze tra settentrione e meridione

La pensione di vecchiaia nel 2019 salirà a 67 anni con 20 di contributi. Questo l’effetto sull’età pensionabil dell’applicazione dell’aspettativa di vita alle pensioni. E dalle previsioni per gli anni successivi al 2020, la pensione di vecchiaia, quella che si centra per sopraggiunto limite di età, corre il rischio di allontanarsi sempre di più. Quota 100 e quota 41, come dicevamo nel paragrafo precedente, si rivolgono a lavoratori con carriere lunghe e continue, sfavorendo chi non trova continuità di impiego. Un problema che la crisi occupazionale di oggi, rischia di far diventare più grave, perché tra i più penalizzati dalle novità in cantiere risultano essere i giovani di oggi nonché futuri pensionati di domani che stentano a trovare lavoro.

I montanti contributivi delle due nuove misure rischiano di essere fuori portata per molti lavoratori. E su questo aspetto il Sole 24 Ore apre una questione territoriale. Statisticamente infatti è il Mezzogiorno ad essere l’area dello Stivale, svantaggiata dal punto di vista delle possibilità di trovare lavoro stabile e duraturo. Il rovescio della medaglia è il Nord, soprattutto il Nord-Est ed il Nord-Ovest. Gran parte dei soggetti che rientrano tra i papabili beneficiari sia di quota 100 che di quota 41 potrebbero essere i lavoratori di quella zona d’Italia più industrializzata. A questi sicuramente vanno aggiunti i lavoratori della PA, questa volta senza distinzioni territoriali e notoriamente con impiego stabile e duraturo.

Dai fortunati a quelli meno, perché con la continua ricerca di coperture finanziarie che anche queste due novità imporrebbero al Governo (che stima in 5 miliardi la spesa per le due misure), rischia seriamente di chiudere i battenti l’Ape sociale. Quel reddito ponte che accompagna soggetti in stato di disagio lavorativo, di famiglia e di salute che fino al 31 dicembre possono accedere alla pensione con 63 anni di età e con contributi tra i 30 ed i 36 anni. Non rinnovata l’Ape Sociale che scadrà il prossimo 31 dicembre, a questi soggetti non resterebbe che attendere i 67 anni della pensione di vecchiaia per il biennio 2019-2020, o addirittura di più per gli anni successivi.