Ormai è dal 2012 che in sede di licenziamento individuale o collettivo di un lavoratore, il datore di lavoro è tenuto a versare un corrispettivo in denaro, il ticket licenziamento. In pratica, quando un datore di lavoro licenzia un dipendente deve contribuire pagando una somma una tantum, alla futura Naspi che lo stesso lavoratore andrà a percepire. Ecco perché lo strumento è conosciuto anche come ticket Naspi, perché è dovuto per ogni interruzione di un rapporto di lavoro che dà diritto a richiedere l’indennità di disoccupazione da parte del lavoratore.

Per il 2019 gli importi sono aumentati e da qualche giorno se ne sono accorti i datori di lavoro che hanno dovuto versare il corrispettivo dovuto per i licenziamenti del mese di gennaio. Infatti il 18 marzo è scaduto il termine per provvedere a questi pagamenti e si trattava della prima scadenza annuale. I nuovi importi in effetti hanno decorrenza per tutti gli eventi interruttivi di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato a partire dallo scorso 1° gennaio.

Quanto costa licenziare un lavoratore

Il ticket licenziamento dovuto viene calcolato in base alla Naspi che andrebbe a percepire il lavoratore. La Naspi è l’indennità unica per disoccupati che eroga l’Inps. Il periodo massimo di fruizione della Naspi è di 24 mesi per coloro che provengono da un rapporto lavorativo continuativo nei 4 anni che precedono la perdita del lavoro.

Dal quarto mese di incasso la Naspi scende come importo del 3% al mese. L’Importo della Naspi (che non può essere superiore a 1.300 euro) è grosso modo pari al 75% della retribuzione media avuta dal lavoratore durante il periodo di assunzione che dà diritto alla Naspi stessa. La premessa sul calcolo della Naspi era doverosa per poter risalire a quanto devono pagare aziende, imprese e datori di lavoro in genere come ticket licenziamento.

Infatti l’importo del ticket è pari al 41% del trattamento mensile iniziale che il lavoratore andrà a percepire di Naspi, moltiplicato per ogni anno di assunzione negli ultimi tre. In pratica, 500,79 euro per ogni anno di anzianità del lavoratore, cioè il 41% di 1.221,44 euro che è la retribuzione base che l’Inps ha stabilito come quella di riferimento per calcolare la Naspi nel 2019 (fino al 31 dicembre 2018 era di 1.208,15 euro).

In pratica, per licenziamento individuale di un lavoratore con anzianità superiore ai 3 anni, l’importo massimo da corrispondere come ticket Naspi è di euro 1.502,37.

Quando è dovuto il ticket

Occorre ricordare che in caso di licenziamento collettivo, il ticket è più alto, andando a raddoppiare e passando dal 41 all’82% della Naspi iniziale per ogni lavoratore. Il contributo è dovuto per licenziamenti motivati da giustificato motivo oggettivo, giustificato motivo soggettivo e per licenziamenti per giusta causa. Per le procedure di licenziamento collettivo, il ticket è dovuto a prescindere che tale procedura fuoriesca o meno da accordi tra aziende e parti sociali. Tocca pagare anche in caso di dimissioni da parte del lavoratore ma solo se per giusta causa e infine, ticket dovuto anche per chiusura dei rapporti di lavoro durante il periodo di prova, quando si supera il periodo di comporto, durante i periodi di maternità ed anche per apprendistato o lavoro intermittente.