E' innegabile che le vicende scandalistiche che hanno colpito i partiti politici in quest'ultimo scorcio di legislatura, soprattutto riguardo il presunto uso illecito dei finanziamenti pubblici ,da parte di tutti i principali schieramenti, ha generato nell'elettorato un senso di diffidenza verso la classe politica.

In questo periodo di campagna elettorale siamo bombardati da spot propagandistici e dibattiti televisivi dove i candidati spiegano le loro ricette per uscire dalla crisi economica, crisi nella quale è sprofondato il paese anche a causa del malgoverno e della corruzione della quale gran parte dei governanti che si sono succeduti negli esecutivi degli ultimi 40 anni sono stati se non partecipi almeno spettatori passivi.

Può apparire quindi contraddittorio credere che chi ci ha mal governati sin ora improvvisamente cambi pelle e diventi un integerrimo amministratore dello Stato, infatti i sondaggi rivelano una percentuale degli indecisi prevedibilmente molto alta rispetto alla vigilia di precedenti consultazioni.

Proprio su questa porzione di cittadini si concentra la bagarre elettorale perché è evidente che sono loro a determinare la vittoria di uno schieramento o dell'altro, essendo i loro voti "mobili" a differenza dell'elettorato convinto e fidelizzato ad un partito o ad un leader.

All'interno di questa massa di elettori vi è sicuramente chi vuole manifestare il proprio dissenso verso coloro che reputa aver tradito la sua fiducia, che si sente offeso di come i professionisti della politica usano il denaro pubblico, in particolar modo quello che fa capo al finanziamento pubblico , meccanismo peraltro oggetto di un referendum popolare il cui esito è stato abilmente stravolto grazie ad una trasversale maggioranza parlamentare.

Del resto i numero fanno riflettere, visto che dal 1994 ad oggi i gruppi politici hanno incassato 2,5 miliardi ma ne hanno spesi solo 579 milioni, gli altri si sono volatilizzati, ed il finanziamento è cresciuto dai 70 milioni del 94 ai 503 del 2008.

Forse questo elettore, dotato di senso civico e senza voler trasgredire alcuna legge, vuole mandare un messaggio forte alle istituzioni, affermare in maniera chiara e priva di interpretazioni che questo "teatrino della politica" lo ha stancato, che non vuole essere moralmente partecipe del declino del nostro paese ancora una volta.

Quindi animato da giustificabile rancore potrebbe essere attratto dai consigli che circolano in diversi blog e social network che incitano ad un comportamento disfattista, cioè presentarsi al seggio , presentare i documenti e farsi vidimare la tessera elettorale, ed a quel punto, senza toccare le schede (vidimate) pretendere che il Presidente del seggio verbalizzi il rifiuto di esercitare il diritto di voto, per esempio con la motivazione che nessuno dei candidati o partiti in lista lo rappresenta.

Il Presidente del seggio è obbligato, ai sensi del l'Art. 104, comma 5, del Testo Unico delle Leggi Elettorali D.P.R. 30 marzo 1957, n.361 e successive modifiche, ad annotare il suo rifiuto e così il cittadino ottiene lo scopo che il suo voto non sia conteggiato come quota premio per il partito con più voti.

Invito allora a non seguire questo comportamento, perché potrebbe ostacolare il regolare svolgimento delle elezioni con possibili conseguenze penali: sicuramente disturba gli addetti al voto che sicuramente non sono i responsabili con cui prendersela, ed inoltre si ottiene lo stesso risultato annullando la scheda.