Come sembra lontano quel 19 luglio del 1992. Mio figlio era nato da appena diciotto giorni, quella domenica cercavo d'interagire con quel fagottino di carne che non faceva altro che piangere e mangiare, la tv era accesa su un canale che non ricordo, ma ricordo il nero dell'interruzione e la sigla del telegiornale, per un'edizione straordinaria: 57 giorni dopo l'attentato di Capaci, avvenuto il 23 maggio 1992, in cui Giovanni Falcone, sua moglie Francesca Morvillo e tre agenti della scorta, Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro avevano perso la vita, ecco che la Mafia completava la vendetta e chiedeva altro sangue, uccidendo, in via D'amelio, Paolo Borsellino e i cinque agenti di scorta, Emanuela Loi (prima donna della Polizia di Stato caduta in servizio), Agostino Catalano, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina.
Quel boato, quella palla di fuoco che annichilì, all'istante, quelle vite di degni servitori della patria, fece svaporare nel fuoco pure molte delle speranze dei siciliani, dei tanti siciliani onesti, stufi di essere alla mercé di Cosa Nostra, stufi di essere abbandonati dallo Stato, stufi di dover vivere nella paura, stufi di dover pensare, nell'aprire qualsiasi attività, al "socio esterno", quello cui non importa se gli affari vanno bene o male, quel "socio" che la sua parte la vuole sempre e in contanti.
Mio figlio Luigi conosce Falcone e Borsellino solo per un tema a scuola o per aver affrontato qualche discussione sulla Mafia. I nostri figli li conoscono solo come un qualcosa che è accaduto ed è passato, come storia vecchia, storia che, a molti di questi ragazzi, quelli più lontani dalla realtà siciliana, appare come un racconto fantasioso, come se Falcone e Borsellino fossero dei Don Chisciotte, lanciati in una battaglia contro qualcosa d'inesistente.
Sì, perché in questi ventidue anni, con la cattura di tanti capi storici della Mafia, si è avuta l'impressione che fosse stata sconfitta, come se la Mafia non esistesse più, ma Cosa Nostra è subdola, è gestita da menti criminali oltremodo acute, alla Mafia non piaceva e non piace apparire nel clamoroso boato del tritolo, questi sono i tempi passati, dettati dal vendicativo Riina, la Mafia lavora sottotraccia, la Mafia non si mette in bella mostra, ti fa sapere che c'è con un bisbiglio e, in Sicilia, quel bisbiglio ancora lo sentiamo, quel bisbiglio, come se fosse il soffio di una vipera, ancora lo sentiamo.
Oggi son ventidue anni dalla scomparsa di Borsellino e di Falcone. Stamattina ho dato uno sguardo alle prime pagine dei quotidiani e non ho visto nessun articolo che ricordasse Paolo Borsellino, nessuno dei quotidiani nazionali ha onorato la memoria di quelle vittime, in prima pagina, tutti hanno preferito aprire con Berlusconi, Ruby, la guerra e l'aereo abbattuto in Ucraina, l'offensiva di terra degli israeliani su Gaza.
Per carità, notizie degne di approfondimenti, ma leggere di Berlusconi e Ruby, ancora una volta, leggere di "giudici che fanno il loro dovere" dopo aver letto, per tanto tempo, di "magistratura rossa", leggere che "la sentenza in appello ha decretato che Ruby era la nipote di Mubarak", che "Berlusconi e Ruby dovrebbero essere risarciti", insomma, leggere tutto e il contrario di tutto su quelle pagine, sapendo che, l'assoluzione in appello è dovuta alla legge Severino, approvata nel 2012 e figlia, forse, di qualche accordo segreto per garantire un qualcosa che poi non è avvenuto (ricordo ancora il respiro spezzato e la faccia illividita di Berlusconi che annuncia di togliere l'appoggio al governo Monti e la sua ridiscesa in campo.
Cosa gli era stato promesso che non è stato mantenuto?), leggere di Nibali in maglia gialla, di Iturbe alla Roma e non leggere nemmeno un trafiletto su Paolo Borsellino fa sì che io, da siciliano, risenta esplodere nelle orecchie quei due boati che a Capaci e in Via D'Amelio annientarono la vita di tanti servitori della patria e molte delle speranze di noi siciliani.