Terza recessione in cinque anni in Italia, che significa che il 'PIL' è sceso ancora. Il PIL è la somma del fatturato delle aziende italiane, che a quanto pare vendono sempre meno per cui si parla di "recessione". Il presidente della Banca Centrale Europea ha recentemente segnalato che in Italia "uno dei fattori del debole PIL italiano è il livello significativamente basso degli investimenti privati" (Ansa 8/8/2014). Il termine "investimenti" potrebbe essere percepito lontano dalla nostra realtà, ma pensiamo ad un piccolo negozio, ad esempio una pizzeria, dove l'investimento è l'acquisto di un nuovo forno, più potente, quello del tipo "roteante" che riesce a cuocere più pizze al minuto.

Ecco che il termine investimento diventa familiare. E' fatto notorio che la maggioranza delle aziende italiane sono piccole ed a conduzione familiare. Il "Rapporto ISTAT 2013" ci dice che 7 imprese su 10 sono di proprietà familiare e gestite da familiari. Può essere una ditta individuale oppure una società ma è la persona o la famiglia a possedere il 95,7% dell'azienda.

Alle piccole aziende il Fisco ha dedicato gli studi di settore, cosa sono? Nel momento in cui compili la dichiarazione dei redditi, scarichi dal sito dell'Agenzia delle Entrate un software che si chiama "GERICO" che ti dice se hai venduto e quindi fatturato a sufficienza (in tal caso ti dice che sei "congruo").

Vai nel quadro "F" inserisci i tuoi ricavi e costi (quelli che il Fisco ti permette di "scaricare"). Al rigo "F29" scrivi quale è il "valore dei (tuoi) beni strumentali" . Secondo la filosofia del Fisco, più investi e più devi fatturare (vendere). Quindi più investimenti, più vendite e più tasse da pagare.

Per ogni imprenditore arriva, ciclicamente, il momento di decidere: o investo nel cambiamento oppure chiudo. Per comprare un forno, per cuocere più pizze al minuto, avrai chiesto un finanziamento in banca, per cui avrai rate da pagare, interessi bancari. Aggiungi anche più tasse. Avere un forno migliore non significa avere subito più clienti che vengono a comprare la pizza.

Non significa più fatturato.

Questo è il motivo per cui moltissime piccole imprese hanno chiuso e quelle che hanno resistito stanno attentissime a non investire. Ad onor del vero ricordiamo che gli studi di settore (che si basano su statistiche) hanno dei correttivi che tengono conto della crisi ma il piccolo imprenditore deve comunque pagare delle tasse. Non subiscono gli studi di settore le aziende che fatturano più di 5 milioni di euro: le fortunate che possono guardare ai costi ed ai ricavi, fare la differenza e vedere se hanno avuto un utile oppure una perdita (e non pagare tasse). Per le piccole aziende, il Fisco non accetta perdite: sei sempre in utile e devi comunque pagare tasse.

Il concetto di imprenditore studiato all'Università, da Codice Civile, è quello di chi assume il rischio dell'attività di impresa, quindi anche il rischio di avere più costi che ricavi, ma evidentemente per il Fisco italiano il concetto include l'impegno di pagare sempre e comunque delle tasse, anche se non hai fatturato a sufficienza. La ristrutturazione degli studi di settore potrebbe facilitare la ripresa degli investimenti e l'avvio di nuove attività da parte di chi ha perso il lavoro, di giovani in cerca di occupazione. Il recente decreto legge n° 91/2014 prevede un credito di imposta del 15% per le imprese che faranno investimenti maggiori di 10.000 euro, fino al 30/6/2015. Speriamo che sia previsto un coordinamento con gli studi di settore, altrimenti chi investirà?