Cosa avrei dato per aver vissuto le emozioni di Ernest Henry Shackleton e della spedizione imperiale trans-antartica... Chissà, forse chiunque di noi ne sia al corrente ha sognato di far parte di quella straordinaria avventura. Io mi sarei accontentato anche solo di essere al suo fianco. Sono invece davanti al pc a ricordare quella storia epica che dall'Endurance e dal suo equipaggio mi separa un secolo. Quell'impresa è giunta a noi grazie ai diari minuziosamente particolareggiati dei membri della spedizione che ne tennero uno. Quegli stessi diari che rappresentano ancora oggi uno strano e, al tempo stesso, meraviglioso assortimento di documenti, fogli imbrattati alimentati con grasso di foca e balena, raggrinziti nei punti in cui l'acqua che li aveva bagnati si è asciugata.
E soprattutto grazie al documentario South!, del 1919, opera dell'operatore free-lance e fotografo ufficiale dell'esplorazione, Frank Hurley. Era la primavera del 1914 quando a Londra, sul Times, comparve uno strano annuncio: "Cercasi equipaggio per viaggio pericoloso. Paga misera. Ritorno non garantito. In caso di successo, fama e onore". Alla missiva risposero migliaia di uomini ma soltanto 27, severamente selezionati, si unirono a Shackleton. La missione aveva come obiettivo l'attraversamento a piedi dell'Antartide partendo dalla baia di Vahsel, sulla costa del continente bianco, nella parte meridionale del Mare di Weddel; dopo la conquista del Polo Sud da parte del norvegese Amundsen sarebbe stata questa l'ultima esplorazione degna di nota. La spedizione prendeva il nome dalla nave utilizzata, l'Endurance, ovvero perseveranza, un veliero a tre alberi con un motore ausiliario alimentato a carbone espressamente progettato per le esplorazioni polari. Le cose però andarono assai diversamente...
La storia dell'Endurance è vera, autentica. Ai nostri giorni è complicato anche solo immaginarla. Fu l'avventura incredibile di 28 uomini partiti dall'Inghilterra nell'agosto 1914 e dispersi sulla banchisa del Mare di Weddel, senza la radio - troppo lontana la più prossima stazione ricevente in luoghi così remoti -, senza più viveri, senza la nave per tornare indietro.
Il veliero venne infatti stritolato dai ghiacci e si inabissò nei pressi del 70esimo parallelo di latitudine Sud. Di quei momenti, oltre al momento finale dell'affondamento, rimane un'istantanea memorabile di Frank Hurley con l'Endurance circondata di coltre bianca, stretta in una morsa di gelo, immersa nell'oscurità... Il successivo, incredibile viaggio nei mari antartici a bordo di piccole scialuppe e lo sbarco all'isola dell'Elefante, un posto selvaggio, abbandonato da tutti, senza più la nave per raggiungere una base abitata.
Nessuno allora sapeva dove si trovavano quei 28 uomini...
Ernest Henry Shackleton era un uomo dall'aspetto forte e austero, forse perfino compiaciuto della propria rigidità. Ma i suoi occhi di ghiaccio, saettanti e mutevoli, mettevano a nudo quella passionalità che si celava sotto la corazza d'acciaio del comandante, del leader. Era un uomo molto romantico, che scriveva poesie. Un incorreggibile sognatore che viveva lo spirito dell'esplorazione con stupore misto ad eccitazione. Solo la sua mente, forse, poteva concepire l'assurdo viaggio lungo 870 miglia dall'isola dell'Elefante alla Georgia Australe a bordo della James Caird, una lancia baleniera di 7 metri. Una tappa di sola andata in cerca di salvezza in mari tempestosi, con onde alte sino a 20 metri, col solo ausilio di un sestante e di una bussola e soprattutto in compagnia di un freddo micidiale che penetrava nelle ossa e tormentava il corpo e l'anima.
Solo lui, forse, poteva scalare montagne inesplorate senza attrezzature adatte e cercare in tutti, ma davvero in tutti i modi di salvare non semplici compagni ma camerati di un'avventura che vale una vita. Mantenendo la situazione sempre sotto controllo senza spezzarsi mai, neanche quando la pressione degli eventi diventa schiacciante. Gestendo tutte le situazioni di pericolo. Dividendo i problemi in sottomultipli sì da poterli affrontare uno ad uno con maggiori probabilità di risolverli. Di Ernest Henry Shackleton e della spedizione dell'Endurance noi serbiamo nella memoria un fremito, un brivido, una vibrazione fiduciosa e serena. E l'eterna riconoscenza per ciò che rende gli uomini capaci di realizzare l'impossibile.