In questi giorni tristi e dolorosi della crisi più grave dopo quella del'29, si sente parlare sempre più spesso di rivoluzioni - oramai le riforme, grandi piuttosto che piccole, non le facciamo più - e, ancor meglio, di rivoluzioni epocali. E le anime belle, quando sentono parlare di rivoluzioni, non pensano certamente a Place de la Concorde o al Palazzo d'Inverno ma, chiaramente, ad una legge che riquadri da ogni lato la materia in questione. Non si considera che, purtroppo, una legge, qualsiasi legge, una volta approvata, dopo il percorso di guerra delle commissioni parlamentari e degli emendamenti di aula, richiede necessariamente decreti ministeriali di attuazione, circolari, istruzioni, adeguamenti mentali e comportamentali.

Essendo ben chiaro che se il cambiamento è sempre doloroso e difficile, la modifica delle prassi burocratiche si scontra con le pigrizie fisiche e mentali degli operatori e con tutta una serie di asimmetrie informative dal lato dei cittadini-utenti-consumatori(-sudditi). Senza contare le eventuali divergenze legate alle potestà normative delle Regioni, le potestà regolamentarie delle varie amministrazioni, le velleità interpretative dei diversi dirigenti della pubblica amministrazione che, come è noto, non è di tutti ma solamente loro. Prescindendo, per semplicità espressiva ed igiene epatica, dalle interferenze delle varie authority e delle tante corti di giustizia, amministrative e ordinarie, locali e superiori, contabili e, chissà mai, penali.

Allora, se si vuole fare sul serio qualche rivoluzione, anche semplicemente intorno alla propria sedia, bisogna seguire una linea opportunisticamente sapiente o sapientemente opportunista, realizzando un disegno delle nuove misure normative in negativo. Se è troppo semplice, in teoria, scrivere in una legge che cosa si vuole che venga fatto, perché sappiamo già che, come già aveva capito il Manzoni parlando delle grida, non verrà fatto o, magari, verrà fatto soltanto quando e come e da chi o per chi si vorrà, bisogna seguire un altro percorso.

Un percorso tortuoso, ma perfettamente in chiave con lo spirito italico, secondo il quale il modo migliore per collegare due punti non è la linea retta ma l'arabesco, e scrivere tutto quello che dobbiamo togliere dalle varie disposizioni delle leggi già in essere per poter avere il risultato.

Così non dobbiamo fare queste nostre rivoluzioni con le picche o con le baionette ma con la gomma da cancellare e, in onore del titolo, dobbiamo abrogare, abrogare, abrogare, chiarendo che chiunque interferisse nell'esercizio dei diritti che ai cittadini verrebbero riconosciuti dai tagli dovrebbe risarcire i danni di tasca sua.