Lo specchio del contemporaneo declino statunitense riflette il sorriso tirato di Hillary Clinton e il grugno minaccioso di Donald Trump, che si sono affrontati in una campagna elettorale senza precedenti per le sue modalità. Una corsa segnata da continui attacchi personali e volgarità, povera di temi politici ma ricca di ascolti: il trionfo del contenitore sul contenuto. Una donna in politica da decenni e travolta dagli scandali, rappresentazione stanca dell'establishment e dei poteri economici dominanti, contro un ereditiere miliardario egocentrico, razzista, maschilista, presunto evasore fiscale e assoluta icona mediatica del nostro tempo.

Sono dunque queste le maggiori espressioni politiche della società americana, il modello di democrazia da esportare in tutto l'universo?

Il meno peggio o il peggio

La Clinton era sicuramente la scelta meno destabilizzante e imprevedibile: era il meno peggio ma solo il meno peggio appunto. Mi rendo conto che si sarebbe trattato della prima donna eletta presidente degli Stati Uniti ma facciamo finta per un attimo che sia una possibilità normale e scontata come dovrebbe essere. Si è presentata come la continuità con il governo Obama ma non aveva da offrire nient'altro, se non l'implicazione in diverse indagini (come lo scandalo Whitewater e il più recente Emailgate), i finanziamenti di Wall Street e la responsabilità della politica estera americana degli ultimi anni.

Anche tra i democratici sono in pochi coloro che l'hanno votata con entusiasmo; alcuni rimpiangevano il "socialista" Bernie Sanders, molti di più pur non apprezzandola la consideravano perlomeno non totalmente fuori di testa come Trump. Di fronte a questa situazione, tra lo status quo e l'ignoto, il popolo americano ha scelto di scatenare il caos e vedere che succede: Trump è la cosa più vicina ad una rivoluzione che siamo capaci di mettere in piedi e già questo la dice lunga.

Cos'è Trump?

Dobbiamo rispettare il voto di tutti. Dobbiamo davvero? Sì, dobbiamo e bisogna anche capirlo. In Europa ci siamo arrivati prima ma il fenomeno Trump è l'apice di un clima di antipolitica e di isolazionismo economico e culturale che sembra ormai fisiologico dal 2008. C'è da una parte quello che è ovvio che ci sia, uno zoccolo duro di reazionari e nostalgici della supremazia dell'uomo bianco, che purtroppo sono sempre di più di quanto l'esistenza della ragione lascerebbe supporre.

Poi c'è molto altro e il Partito Repubblicano c'entra poco niente, non a caso The Donald è stato per anni considerato più vicino ai democratici. Il voto a Trump è stato soprattutto protesta, una provocazione andata troppo oltre, il megafono confuso degli sconfitti della globalizzazione, delle vittime delle disuguaglianze economiche e di chi "semplicemente" non crede più nel sistema economico-politico vigente. L'unico vero merito di Trump è di non essere un politico ma un uomo della società civile che renderà l'America di successo proprio come il suo brand (ogni riferimento a Berlusconi è puramente palese). Ha avuto contro tutta la stampa, il mondo culturale e dello spettacolo e ogni critica nei suoi confronti non faceva altro che confermare l'opinione dei suoi elettori: i media sono stati percepiti come espressione della élite dominante.

Trump è stato sottovalutato, evidenziando il divario che esiste tra l'auto-rappresentazione del paese fornita dai mezzi di comunicazione e i sentimenti del paese reale, che non conosciamo come pensavamo. Si può dire che che il popolo non abbia trovato un candidato migliore con cui esprimersi o forse, ipotesi questa infinitamente più preoccupante, Donald J. Trump è la perfetta espressione della società americana.