Una cosa è certa, l’APE consente di uscire dal lavoro con quasi 4 anni di anticipo rispetto all’età necessaria oggi per la pensione di vecchiaia. SI tratta di uno strumento di flessibilità in uscita, cioè quello che il mondo del lavoro chiede da tempo alla politica. Prima della novità introdotta in Legge di Bilancio, in Parlamento erano depositate altre proposte che si prefiggevano l’obbiettivo di rispondere a questa necessità del sistema previdenziale. Tra le più importanti quelle di Damiano con il suo DDL 857 e quella del Presidente INPS Boeri, che sembrano oggi più vantaggiose per i lavoratori.
Punti in comune ce ne sono?
Sicuramente l’APE è una misura che per il Governo significa concedere la tanto agognata flessibilità spendendo il meno possibile di soldi pubblici. Ecco perché si è scelto di far entrare in gioco le banche e le assicurazioni, come soggetti terzi in un meccanismo che di norma presenta un soggetto pagatore (INPS) ed uno ricevente la pensione (i pensionati). Le proposte di Damiano e Boeri su questo si discostano completamente perché per loro, l’unico soggetto che avrebbe dovuto erogare soldi ai pensionati era lo Stato, cioè l’INPS. Dal punto di vista degli anni di anticipo concessi, cioè a partire dai 63 anni pieni, l’APE si avvicina molto di più alla proposta Damiano che a quella di Boeri.
La prima infatti, consentiva l’anticipo massimo a 62 anni e 7 mesi, mentre la seconda a 63 anni e 7 mesi. L’APE prevede dei requisiti contributivi di 20 anni per la forma volontaria, mentre 30 e 36 anni per l’APE social, quella assistenziale per disabili, disoccupati, con disabili a carico o lavoratori alle prese con attività pesanti.
Per le altre proposte invece la soglia era di 35 anni di contributi versati.
Anticipo pensionistico sfavorevole ai lavoratori
Secondo Boeri, vedendo i conti del Governo sull’APE, la sua proposta sarebbe stata più favorevole. Secondo la proposta di Boeri infatti la pensione anticipata sarebbe stata concessa a coloro i quali accettavano di farsi calcolare l’assegno interamente con il sistema contributivo, del quale lui è fermo sponsor.
Le uscite di danaro pubblico per le Pensioni anticipate erogate, nel medio lungo periodo sarebbero state recuperate dal Governo, fino a guadagnarci nel giro di pochi anni. Infatti le penalizzazioni di assegno dovute al calcolo contributivo della pensione avrebbero prodotto tagli di assegni considerevoli, in media del 20% per pensionato. La proposta di Damiano invece prevedeva tagli fissi di assegno nell’ordine del 2% per anno di anticipo. Essendo 4 gli anni di anticipo concessi dal DDL 857, il taglio massimo che avrebbero subito i pensionati era dell’8%. L’APE, nonostante le varie formule ricercate dal Governo per renderlo meno penalizzante e più appetibile, sembra essere comunque più sfavorevole ai lavoratori.
Naturalmente ci riferiamo a soggetti non disagiati socialmente, cioè quelli che non rientreranno nell’APE social, ma in quella volontaria. Per costoro infatti, il taglio di pensione durerà 20 anni, che sono gli anni in cui l’INPS tratterrà le rate da girare alle banche. Si tratta di penalizzazioni di quasi il 5% per anno di anticipo perché al capitale, cioè alla pensione versata si dovranno aggiungere gli interessi e le spese. Senza contare l’evidente riduzione di assegno per via dell’uscita anticipata. Pochi ci pensano ma c’è da calcolare il fatto che si andrà in pensione con 3 anni e 7 mesi di contributi in meno versati e soprattutto con una pensione calcolata con coefficiente più negativo in quanto si esce più giovani e l’INPS eroga una pensione più bassa perché immagina di versare l’assegno per più anni.
In definitiva, se da un lato, l’APE consente l’uscita anticipata con soli 20 anni di contributi, basandosi sulla pensione di vecchiaia, rispetto ai 35 delle altre proposte, il danno dal punto di vista dei soldi sarebbe ingente e vita durante, a meno che non si abbia la fortuna di vivere oltre gli 86 e 7 mesi che significano fine del debito.