Il 21 ottobre di quest’anno è andata in onda The Young Pope, la prima serie tv del regista napoletano Paolo Sorrentino, in esclusiva su Sky Atlantic. Presentata alla scorsa mostra d’arte cinematografica di Venezia, The Young Pope aveva lasciato dietro di sé uno schieramento di critiche ed elogi. Consuetudine, del resto, quando si parla di Sorrentino. The Young Pope è la storia di Lenny Belardo, interpretato (magistralmente) da Jude Law, primo papa americano della storia e primo ad essere eletto non ancora cinquantenne. Papa XIII, questo il nome scelto, ha infatti 47 anni.
Elezione figlia di una strategia mediatica, produrrà chiacchiericcio e rumore per i corridoi marmorei del Vaticano. Un papa non convenzionale, affacciato alla modernità in quanto giovane, sosterrà di essere una contraddizione, come Dio.
Seppure questa mia vuole essere scevra da favoritismi, va detto che il maestro Sorrentino ha apportato nel tempo, concretamente anche con questa serie tv, una ventata di rivoluzione all’industria cinematografica italiana che poco brillava da qualche decennio, costruendo un personaggio provocatorio e sagace seppure un uomo di chiesa ineccepibile, volteggiando sul sottilissimo filo che separa il religioso dal blasfemo. Talvolta induce a riflettere sulla natura e l’evoluzione del potere in quanto intriso nella natura umana ma a diversi livelli di intensità.
In una delle conferenze stampa rilasciate ad inizio ottobre, il regista sostiene di aver raccontato quello che è il clero e cioè “formato da esseri umani tra gli umani, con i loro pregi, i loro difetti, i loro limiti, le loro capacità e le loro incapacità” ed è stupefacente come attraverso andirivieni di battute pungenti, provocatorie (seppure nella stessa conferenza esclude fermamente la volontà di voler provocare qualcosa o qualcuno) disarmanti e inaspettate, riporta la figura del papa, il primo sacerdote di Roma successore dell’apostolo Pietro, a un ironico “niente”, un “nessuno”, mentre la verità è che non c’è nulla di più vicino alle trascrizioni di Sant’Agostino a proposito di legittimità del potere.
Questo papa si muove con elegante modestia celeste, legittimando il baciamano come gesto rivolto a Cristo e non a lui personalmente, benché esercita il suo potere in quanto trasmesso a lui per qualità e doti. A tratti lo spettatore è indotto a pensare che il papa sia l’autorità più potente e influente del mondo terreno e grazie a poteri mistici (o casualità?), anche oltre.
Il tutto va ad inserirsi in un contesto che fluttua perennemente nel fascino misterioso del Vaticano e di coloro lo costituiscono che, unito a tecniche di ripresa, dialoghi, fotografia, scelta delle musiche e ad una mente insaziabile di visioni, rende il racconto scorrevole seppur lento e ovattato. Il risultato è un lavoro che va ben al di là del gusto cinematografico e della scelta delle inquadrature, bensì rende noto quello che a moltissimi rimaneva un mistero: la vita vissuta dei sacerdoti e del papa all’interno del più piccolo, grande stato del mondo, l’eterosessualità e l’omosessualità e infine il potere carismatico del papa in tutta la sua chiarezza.