Sono ancora un "Jesuis charlie"
Tutti noi ci siamo emozionati guardando le immagini alla televisione, di soccorritori che lottando contro il tempo, cercavano di scavare tra la neve per salvare più vite possibili. Eravamo tutti con la speranza di veder emergere dal manto bianco persone vive, poi i primi successi, i primi sopravvissuti, i bambini abbracciati e tratti in salvo dai soccorritori dal sorriso commosso, poi l'ansia del tempo che volava via veloce e poi la sofferenza nel vedere il numero delle vittime aumentare. Chi non ha pensato a quelle povere persone che, ignari del loro destino, stavano trascorrendo momenti di relax, felici e sorridenti nel confortevole resort, che dopo la violenta valanga si trasformerà purtroppo nella loro gabbia dalla quale sarà difficile scappare.
Durante questa serie di emozioni che stava scuotendo il paese, la nota rivista francese "satirica" Charlie Hebdo ha pubblicato una vignetta che giustamente ha fatto indignare moltissimi italiani con relative e vaste reazioni. La vignetta rappresenta uno scheletro incappucciato di nero a simboleggiare la morte che scendendo velocemente sugli sci urla " Italia, la neve è arrivata" e una frase sulla parte inferiore del disegno con scritto" e non ce ne sarà per tutti". Questa vignetta è offensiva, di cattivo gusto, cattiva. Questa vignetta è schifosa. Non vedo, a mio modesto parere, satira in quel disegno eseguito con sufficienza e con una cattiva grafica, non sono ravvisabili in essa la comicità, l'umorismo, l'ironia, il sarcasmo e non ha nessun elemento scherzoso.
Nella rivista francese non ho mai visto arte letteraria, come quella fatta dagli antichi greci. Vedo soltanto una cattiveria che si nasconde dietro ad un concetto forzato di essere offensivi per comunicare, o meglio volgere la loro comunicazione verso la politica sociale e le contraddizioni della nostra società.
Eppure se tornassi indietro scriverei ugualmente je suis charlie
Perché credo nella libertà di stampa e nella democrazia tanto sudata durante il rinascimento, il risorgimento le guerre mondiali e le dittature. Abbiamo lottato per avere ognuno la possibilità di scrivere quello che preferisce, dando al lettore la stessa libertà di indignarsi o promuovere, dove ci siano gli estremi, azioni legali.
La nostra società con la cultura, lo studio e la sensibilizzazione ha gli strumenti per contrastare queste vignette e non possiamo rischiare che i sentimenti di sdegno come una mano oscura rimuova ciò che è scomodo e non gradito. Bisogna evitare che la violenza, che abbiamo visto quel triste 7 gennaio 2015 ci riporti indietro a colpi di mitra, di moltissimi anni dopo tutti i progressi raggiunti. Troppo spesso sento una cattiva interpretazione della frase je suis charlie, banalizzata a slogan per prendere qualche mi piace su Facebook. Dentro questa frase non c'è una personificazione con l'autore della vignetta, non c'è nessuna condivisione di quello che viene scritto, molti ( me compreso) non avevano mai sentito parlare della rivista, il significato, è molto più profondo e più sentito.
Non si può morire per quello che scriviamo, contestiamo, rispondiamo, ma non opprimete la libertà, non fate violenza nelle mie strade, non in mio nome. Come disse lo scrittore britannico Ernest Benn " la libertà significa essere liberi dalle cose che non ci piacciono in modo da poter essere schiavi delle cose che ci piacciono". Se proprio non riuscirete o non vi piace il nome Charlie, non usatelo, siate chi volete, siate voi stessi o siate Ernest, purché siate liberi.