Mosul, 6/3/17. Ieri la notizia che vede i Peshmerga e l'esercito regolare iracheno impegnati nella riconquista dell'ultimo ponte sul Tigri ancora in mano alle milizie dell'ISIS. Persino al-Baghdadi qualche settimana fa ha annunciato tramite la sua evanescente agenzia stampa Amaq - ma non sulla rivista ufficiale Dabiq - che la sconfitta in iraq è ormai inevitabile. Ma, cosa accadrà dopo? Oggi, i curdi del PKK che combatterono a Kobane tra il settembre 2014 e il gennaio 2015, insieme all'Esercito siriano libero e alle Unitià di protezione popolare, sono armati dal Patto Atlantico e sperano di assurgere all'agognato riconoscimento che la tirannia Ba'th, col tabun o con le manette, gli ha sempre negato.

I nuovi equilibri politici hanno trasformato le popolazioni del Kurdistan da vittime di un genocidio a prima linea di difesa. La Mesopotamia è una terra di promesse negate fin dai tempi della Rivolta Araba, quando inglesi e francesi sobillarono gli arabi contro l'Impero ottomano in disfacimento, salvo poi rimangiarsi tutto con accordi segretissimi una volta decretata la morte di Costantinopoli. Tali accordi avranno esiti disastrosi, come la creazione del mandato francese sulla Siria sotto l'egida britannica. Dunque, cosa sarà adesso dell'Iraq e della Siria? Sacche di resistenza e focolai di rivolta continueranno a insorgere ovunque, dal momento che, nella maggior parte dei casi, i ribelli traslocano in luoghi di minor importanza strategica senza abbandonare le armi.

Quando si rimpiangono i despoti

Saddam Houssein governò sull'Iraq dal 79' al 2003, quando l'esercito statunitense lo attaccò col pretesto di individuare arsenali chimici a cui, con tutta probabilità, aveva già dato fondo contro gli iraniani e i curdi durante una guerra che vide l'amministrazione americana impegnata a vendere armi ad entrambi.

La dissoluzione dell'autorità politica in Iraq fu l'atto di nascita di al-Qaeda, sebbene di norma si imputi all'invasione sovietica la causa principale della nascita dei movimenti fondamentalisti. Il dimenticato Bin Laden, non era che il rampollo di una delle più eminenti famiglie saudite, e come tale fu uno dei più celebri collaboratori degli Stati Uniti durante la guerriglia afgana contro le truppe di Mosca.

Al-Baghdadi venne catturato insieme a quelli che sarebbero diventati gli illustri nomi della jihad durante l'avanzata statunitense, detenuto come tanti nella prigione di Camp Bucca, che divenne l'involontaria fucina dei militanti. Al contrario di Zarqawi e al-Zawahiri, che combatterono in Afganistan, Abu Bakr al-Baghdadi fu uno di quei personaggi sorti non si sa come per proseguire l'opera di altri martiri uccisi dai missili NATO. Sono passati più di dieci anni da quando l'improbabile tribunale di Baghdad processò la cerchia di Saddam per una serie di crimini perpetrati durante la sua dittatura, al contrario di ciò che accadde ai suoi figli, uccisi dalle forze speciali. A più di dieci anni dall'esportazione della democrazia occidentale in terra straniera, la stabilità sembra un miraggio sempre più inconsistente.

In Libia, la fine di Gheddafi ha portato alla nascita di una serie infinita di organi di governo e milizie irregolari più o meno allineate, fertilizzando il terreno per l'inevitabile proliferazione fondamentalista e determinando il ritorno sulla scena di al-Qaeda nel Magreb Islamico di tutte le sue costole in Mali, Niger, Tunisia, Algeria e Marocco. Ma cosa sarà della Libia ora che la Francia ha portato a compimento il suo secolare proposito di abbattimento della tirannia? Cosa sarà di Tripoli ora che i bambini girano armati?