Trecentocinquanta suicidi ogni mese sconvolgono la penisola italiana nel silenzio dell'informazione pubblica e nell'immobilismo delle istituzioni.
Nel solo mese di marzo 2017 sono state ben sessantuno le notizie di suicidio evidenziate dalle testate giornalistiche locali, mentre quelle nazionali si sono limitate ad aprire una finestra sul fenomeno solo per ragioni di "audience" nel riportare i casi più sensazionali, come quello avvenuto a Valencia, che ha visto coinvolto uno studente Erasmus italiano di ventitré anni trovato morto. Oppure i casi di dubbi suicidi, o ancora quello del padre che si è tolto la vita dopo aver ucciso i due figlioletti di due e quattro anni a Trento.
I dati ufficiali parlano, invece, di un fenomeno ben più ampio: circa 350 suicidi mensili totalmente sconosciuti all'opinione pubblica.
Perché questa differenza tra la situazione reale e il dato giornalistico?
È l'Istituto nazionale di statistica (Istat) a fornire una prima risposta: "dal 2010 l'Istat ha sospeso la rilevazione sui suicidi e tentativi di suicidio basata sulle informazioni trasmesse dalle forze dell'ordine", per passare all'individuazione statistica tramite la "certificazione medica delle cause del decesso".
Questa nuova metodologia ha reso più complicato reperire la notizia giornalistica, che così rimane confinata ai casi più eclatanti per modalità o clamore destato. Ma le ragioni potrebbero essere altre.
La paura di evitare comportamenti emulativi? Una scusa che non regge più, viste le dimensioni del fenomeno. Più probabile la volontà di nascondere un fenomeno negativo, difficile da affrontare, le cui radici potrebbero anche risiedere in scelte politiche errate.
Così, a fronte di circa 1.500 notizie giornalistiche annue, i dati Istat hanno evidenziato, nel triennio 2011-2013, una media annua di 4.292 casi, pari a 357 suicidi al mese.
Se prendiamo in analisi il 2012, ci accorgiamo che il fenomeno può essere anche più esteso, in quanto ai 4.258 casi di "suicidio e autolesione intenzionale" riportati nei certificati di morte, vanno aggiunti anche una parte degli annegamenti e avvelenamenti accidentali (867) e una parte di quelli con "sintomi, segni, risultati anomali e cause mal definite".
Una sottostima deriva, poi, dalla "informazione fornita dal medico che può risentire anche del fatto che lo stesso che deve compilare tempestivamente il certificato, entro le ventiquattro ore dall'accertamento del decesso, inserendo le informazioni disponibili al momento stesso della certificazione", come riportato dallo stesso istituto di ricerca.
Non si può fare a meno di notare che, sui 4.258 casi registrati nel 2012, "solo" in 737 occasioni è stata segnalata dal medico una concomitante malattia fisica rilevante. Di conseguenza, la maggior parte delle cause vanno rinvenute in ragioni di natura socio-economica.
Ciò confermerebbe gli studi di Emile Durkheim, uno tra i pensatori più autorevoli della sociologia che, partendo dall'analisi di un numero incredibile di dati statistici, arrivò a dimostrare che è la mancanza di valori condivisi da una collettività (come quelli etici e religiosi) che determina una perdita di stabilità o "anomia" idonea a provocare nei singoli individui sentimenti d'angoscia e d'insoddisfazione soffocati dal suicidio.
Sarebbe, quindi, la "mancanza di regole" la causa fondamentale del fenomeno dei suicidi.