Classe 1964, nato a Milano da genitori siciliani, di Racalmuto, in provincia di Agrigento, per la precisione e divenuto uno dei più importanti esponenti del giornalismo italiano: parliamo di Gaetano Savatteri.

Una vita per l'informazione

Una vita, una carriera, un intero percorso professionale vissuti per l'informazione e per quel profondo bisogno di descrivere, di narrare, di raccontare la verità. Quella verità intrisa di scenari variegati, tormentati, intrecciati e aggrovigliati di fatti complessi che lasciano spazio a innumerevoli interpretazioni, ma che trovano compimento nelle attività di magistratura e istituzioni.

Dalla Sicilia, terra da lui tanto amata e che ha dato inizio alla sua attività giornalistica, approda al Giornale di Sicilia per poi, trasferitosi a Roma, diventare inviato del TG5. La Sicilia è diventata, forse lo è sempre stata, il fulcro del suo lavoro, la cronaca e le organizzazioni criminali hanno caratterizzato gran parte della sua attività giornalistica e di scrittore.

Suo ultimo lavoro è il libro "Non c'è più la Sicilia di una volta", testo nel quale tutti i luoghi comuni, i cardini di una cultura, vengono messi in discussione, vengono rielaborati e incanalati verso una prospettiva socio-culturale diversa ed impensabile fino a pochi decenni fa.

L'intervista

Chi è Gaetano Savatteri? Qual'è il percorso dell'uomo prima del giornalista?

Uno che ama raccontare storie, sotto varie forme: nei romanzi, nei saggi e nei servizi giornalistici. Dietro ogni notizia c'è una storia e dietro ogni storia c'è un uomo, con i suoi drammi e i suoi problemi. Lo diceva Pippo Fava e ci credo.

Le non avesse svolto questa professione, quale altro ambito avrebbe scelto?

Non lo so.

Ho sempre sognato di fare il giornalista. Forse avrei fatto l'insegnante, come i miei genitori.

Com'è cambiato il mondo dell'informazione nell'era dei social e dei talk show?

È un'informazione sicuramente molto "chiacchierata" con poco spazio per gli approfondimenti seri. Un'informazione che vive troppo spesso di parole, smarrendo il contatto con il reale.

Può l'impronta personale e il punto di vista proprio del giornalista influire sulla creazione di una notizia? Se si, in che misura?

È una questione che si erano posti già gli antropologi: la presenza dello studioso modifica la realtà che sta studiando? Certo che si. La presenza stessa del giornalista modifica il comportamento di chi viene interpellato. Sta' al giornalista restare un po' in disparte, senza dimenticare il suo punto di vista, e far prevalere i fatti che osserva e testimonia.

Qual'è stata la notizia che, a suo parere e con più difficoltà, ha raccontato perché l'ha colpita particolarmente?

Ho sempre avuto difficoltà a raccontare le storie in cui le vittime erano bambini o bambine.

Storie terribili che toccano l'anima, che fanno ripetere la domanda che si faceva Dostojesvky: perché Dio fa morire i bambini?

Cosa direbbe a chi volesse intraprendere il Suo stesso percorso professionale?

Direi che non è un momento facile per il giornalismo, ma direi anche che, secondo me, è uno dei mestieri più belli del mondo.

Una domanda che mi piace sempre porre è: se potesse descrivere con una parola la Sua vita professionale, quale sceglierebbe?

Mi piace pensare e sapere che è una vita professionale appassionata.

Un uomo, che oltre la professione, lascia trasparire quel lato squisitamente umano che esula dal bisogno di descrivere la verità, ma ne diventa parte integrante quale pezzo di un puzzle: un narratore e testimone attivo del racconto della vita stessa.