Il 2016 è stato l'anno della "post-verità".L'Oxford Dictionary l'ha scelta definendola come "una situazione in cui gli appelli all'emotività e alle nostre convinzioni personali risultano più influenti nell'orientare la pubblica opinione rispetto alla presentazione di fatti concreti e obiettivi". I fatti non contano più. Uno dei principi giornalisti per eccellenza, legato all'insidacabilità di un fatto in quanto tale, è completamente messo in discussione. Non ci informiamo più attraverso i fatti. Privilegiamo e diamo ascolto soltanto ad opinioni personali e punti di vista, senza voler ammettere che, per quanto profonde e radicate queste ultime possano essere, non possiamo considerarle elementi validi ai fini di una corretta informazione.

Internet, strumento democratico per eccellenza, nato per permettere al singolo cittadino di informarsi liberamente senza più dover sottostare al filtro bene o male imposto dai media tradizionali, sta andando in tutt'altra direzione. Poco importa che giornalisti esperti come Enrico Mentana, o dottori come Roberto Burioni, e addirittura la presidente della Camera Laura Boldrini spendano ore e ore del loro tempo per dichiarare nient'altro che l'ovvio; l'informazione costruita sulla base di notizie false non può essere considerata informazione. Ma tant'è.

Ostacoli cognitivi

Numerosi esperti sono scesi in campo per cercare di capire come e perché internet si sia dimostrato un terreno estremamente fertile per la proliferazione di notizie false.

Craig Silverman, giornalista ed esperto di dinamiche web, ci ha addirittura scritto un libro,"Bugie, bugie virali e giornalismo" scaricabile gratuitamente. Pare che, in quanto esseri umani, siamo vittime di meccanismi cognitivi ben precisi che in qualche modo sembrano favorire la disinformazione. In primis, il "ritorno di fiamma"; se e quando le nostre convinzioni personali sono messe in discussione, paradossalmente diventano più forti e quasi impossibili da modificare.

Abbiamo poi l"assimilazione partigiana" che ci impedisce di informarci obiettivamente; sembra infatti che gli essere umani privilegino e selezionino soltanto le informazioni che vanno a confermare quello in cui già credono, scartando tutto il resto. Ma al di là di meccanismo tecnici, e a dire il vero neanche troppo complessi, che in qualche modo sembrano volerci scagionare dalla tendenza che abbiamo a credere al falso, ad oggi sembra che nessuna "cura", se così vogliamo definirla, sia stata trovata.

Pur esistendo tanti strumenti per difenderci. Dobbiamo arrenderci? Esiste davvero una soluzione?

Uno strumento alla portata di tutti

Uno strumento, forse, ci sarebbe. Pronto all'uso, anche. Siamo noi lo strumento. Noi, esseri umani evoluti, risultato di milioni di anni di evoluzione. Noi, esseri umani dotati di pensiero critico, che paradossalmente ci sentiamo più liberi e informati ma che invece forse stiamo regredendo. Che non siamo più disposti ad ascoltare un punto di vista diverso, ad accettare che quel qualcosa che sbandieriamo ai quattro venti come verità assoluta non sia altro che il risultato di una notizia falsa creata a tavolino per guadagnare. Che non ci sappiamo più confrontare faccia a faccia con qualcuno, ma che odiamo tutti nascosti dietro alle nostre tastiere.

Probabilmente perché così è più facile. Confrontarsi implica accettare un'opinione diversa, implica l'accettazione di sé e dell'altro: e se l'altro non la pensa come me non per questo deve essere considerato quasi inferiore. Ammettere la sconfitta non ci piace; non possiamo semplicemente accettare che una certa pagina Facebook nasca soltanto per lucrare sulla nostra credulità. Stiamo prendendo una scorciatoia. Ma così facendo, non stiamo riguadagnando il nostro ruolo di opinione pubblica razionale e informata. Confrontandoci soltanto con chi la pensa come noi, non stiamo dando nuova linfa vitale al dibattito pubblico. Stiamo semplicemente diventano più arrabbiati, pieni di odio e chiusi in noi stessi. E, paradossalmente, soltanto noi possiamo decidere di uscire da questa palude. Cosa che saremmo perfettamente in grado di fare. Basterebbe volerlo.