Ammettiamolo: Netflix è stata la più grande rivoluzione mediatica degli ultimi anni. Ha cambiato il modo di seguire in primis i prodotti della serialità, che prima del suo avvento, avvenuto in Italia nel 2015, erano dominio della televisione e dei dvd. Ultimamente però due segnali negativi hanno contraddistinto l'apparente cavalcata trionfante del gruppo con sede a Los Gatos in California: la rivolta del mondo del cinema dopo la vittoria di un film prodotto dalla compagnia alla Mostra di Venezia e la machiavellica campagna di promozione al grido di 'Basta Netflix'.

Rivoluzione binge-watching

Il cosiddetto binge-watching, la scorpacciata di tutta una stagione seriale come e quando vuoi, ha scardinato gli usi e i costumi, e pure il tempo libero, dei seguaci dei racconti a puntate. Da un lato ha creato una fidelizzazione lampo, quasi atavica, che ha portato a osanna ai limiti della canonizzazione di Reed Hastings, il fondatore della società californiana. Dall’altro ha obbligato Netflix a produrre a catena titoli su titoli vista la velocità con la quale venivano consumati, generando un default economico e, talvolta, di qualità. In sintesi, non tutti i titoli sono stati all’altezza di ‘House of Cards’ o ‘Orange Is The New Black’, le due colonne apripista della compagnia di Los Gatos.

E ovviamente, non con lo stesso budget.

Prodotti a chilometri zero

La politica poi di diversificare i prodotti in base ai Paesi che mano a mano aprivano a Netflix – praticamente, ad oggi, tutti tranne Cina, Corea del Nord e Siria – ha generato prodotti a ‘chilometro zero’ di interessante appeal culturale e alla larga dalle produzioni mainstream americane.

Talvolta riusciti (è il caso del nostro ‘Suburra’, benchè non basato su una sceneggiatura originale), talvolta meno.

Il cinema in rivolta

Ultimamente però Netflix si è distinta per aver assestato due colpi ulteriori alla sua rivoluzione. All’ultima Mostra del Cinema di Venezia ha vinto il Leone d’Oro il film ‘Roma’ di Alfonso Quaron, prodotto per l’appunto da Netflix.

Apriti cielo: autori e esercenti hanno protestato all’unisono la premiazione di una pellicola che non si vedrà nei cinema, ma su una piattaforma a pagamento, ventilando la paura di una emorragia di pubblico dalle sale. Il dibattito su cosa sia la settima arte che ne è scaturito si presuppone continui fino, almeno, al prossimo Festival di Cannes (o di Berlino).

Promozione flop

L’altra nota da segnare con la matita rossa, stavolta, riguarda un’operazione di marketing, anch’essa dettata dalla localizzazione della promozione attuata da Netflix negli ultimi tempi. Si tratta del claim, declinato in poster, tweet e banner, che recita ‘Basta Netflix’. Originariamente la frase doveva indurre a pensare che bastasse avere la piattaforma tanto decantata per sopravvivere, come si diceva una volta, al logorio della vita moderna.

O per ricominciare una nuova stagione dopo le vacanze estive, se non altro. Solo che la frase sibillina ha indotto i più a pensare a una campagna contro la società che è arrivata a fatturare oltre 11 miliardi di dollari. Soprattutto dopo l’osteggiamento del mondo del cinema in seguito alla vittoria di ‘Roma’ al festival veneziano. Insomma, un boomerang. Pagato a caro prezzo. Il primo vero e proprio passo falso all’inizio di una stagione che sarà determinante, anche in vista della sempre più agguerrita concorrenza, per Netflix e il suo futuro.