A seguito della strage sventata a San Donato Milanese il 20 marzo, il dibattito sull’approvazione dello ius soli in Italia si esacerba di giorno in giorno, riecheggiando nei discorsi degli esponenti politici con toni da campagna elettorale. Strumentalizzazioni a parte, il carattere urgente della questione si sta imponendo con una forza che non può più essere minimizzata con una malriuscita ironia o l’indifferenza che riserviamo alle seccature passeggere. Qui si tratta di guardare in faccia la realtà e capire in che direzione sta evolvendo il paese, comprendendo che non sarà possibile zittire le voci di tutti i ragazzi per i quali, come per Rami ed Adam che hanno salvato i loro compagni di scuola, Italia vuol dire patria e casa, anche se i loro genitori non hanno sangue italiano.
La necessità di approvare una legge in merito
Nell’Unione Europea, i requisiti per diventare cittadini di uno stato cambiano da paese a paese, perché la cittadinanza è considerata materia normativa di competenza nazionale. Nella maggior parte dei paesi predomina lo ius sanguinis, ma in Francia, Germania, Irlanda, Regno Unito, Belgio e Lussemburgo si applica uno ius soli temperato, ovvero soggetto a determinate condizioni, che cambiano molto da stato a stato. In Canada, negli Stati Uniti ed in buona parte dell’America Latina, invece, nel caso specifico in cui una persona nasca sul territorio ma abbia genitori di altre nazionalità, vige lo ius soli senza restrizioni e si è automaticamente cittadini.
In questo contesto, l’Italia si presenta come uno degli stati più restrittivi nell’applicazione dello ius sanguinis. Se un italiano ha genitori stranieri, seppur nato e cresciuto in Italia, deve aspettare il diciottesimo anno d’età per ottenere la cittadinanza ed essere definito ufficialmente tale. Se già solo fosse stata approvata, nella legislatura precedente, la proposta di legge per l’applicazione di uno ius soli temperato, saremmo ora allineati a Francia, Germania e Gran Bretagna.
Il pericolo di una manipolazione per fini politici
L’Italia ormai da tempo, come tutti gli altri stati europei, è diventata un territorio multiculturale, indipendentemente dal sentimento che la presa di coscienza di questo fenomeno possa suscitare nelle singole persone. È un processo irreversibile e, per trasformarlo in una forza che arricchirà il nostro paese, tanto culturalmente quanto economicamente, e non che si ritorca contro di esso, occorre accettarlo e promuovere l’integrazione e lo sviluppo di ogni singola persona al suo interno.
Ciò passa dal conferimento di una pari dignità giuridica a tutti e non si presta ad un’applicazione della legge miope o ipocritamente anacronistica. O addirittura ad un’interpretazione che, peggio ancora, rimandi al clima autoritario di altre epoche, infiammando il malcontento popolare che sfocia ormai in episodi quali la ben triste commemorazione del Ventennio organizzata da CasaPound a Milano.
Spaventano allora i ripetuti tentativi dell’esecutivo di ignorare il problema come se fosse effimero o secondario, oppure di liquidarlo impulsivamente con dei palliativi al solo scopo di attirare l’attenzione mediatica e il consenso popolare. In una perversa spettacolarizzazione da circo, per una cittadinanza “regalata” da una divina concessione, o sarebbe meglio dire dal libero arbitrio del potere, ne vengono invece negate altre migliaia.
Il concetto di cittadinanza stesso viene svuotato del suo significato democratico, convertendosi da diritto-dovere di ciascuno di noi in privilegio concesso dall’alto, in via eccezionale, a pochissimi.
Quindi, l’unica soluzione per i tanti a cui non viene trasmesso sangue italiano per via paterna, il requisito che viene loro richiesto, sarebbe auspicare di sfiorare una tragedia sfoderando però, al momento giusto, il coraggio e la prontezza di spirito per salvarsi? Questo è sembrata suggerire Giorgia Meloni quando ha twittato che il piccolo Rami, grazie al suo gesto eroico, si è “meritato” la cittadinanza italiana.
La confusione sembra insomma regnare sovrana nelle reazioni politiche all’accaduto, non ultima quella del ministro dell’Agricoltura Centinaio, che, cadendo in un involontario paradosso, ha affermato che i ragazzini come Rami ed Adam sono “italiani”, sì, ma non “cittadini”. Direi che urge davvero una legge appropriata per chiarire le idee sue e di altri suoi colleghi.