Certe partite non iniziano mai. Finiscono ancor prima di scendere in campo. Perché quando dalla tua parte hai un maestro di calcio come Maurizio Sarri, cuore tinto di azzurro abbinato alla genialità della scuola toscana, non serve aggiungere molto per vincere un match: è come acquistare una torta di compleanno già pronta, alla quale serve soltanto un rapido e indolore soffio sulle candeline.
Due numeri dal significato profondo quelli che descrivono la notte europea di Baku, la prima finale disputata in un luogo così 'oscuro' per il calcio che conta, un quattro che si posa vicino ad un povero e indifeso uno, lasciato solo di fronte al proprio destino: due numeri che trascinano dall'alto della loro natura una differenza abissale tra due formazioni che hanno affrontato una finale in modo completamento diverso, provocando quella che per anni sarà una clamorosa disfatta per i gunners allenati da Unai Emery.
Entrando nel vivo del match
Il Chelsea parte un pò in sordina, senza provare o, almeno, non da subito a mordere gli avversari attraverso la qualità dei propri uomini migliori, tra cui spicca il fuoriclasse belga Eden Hazard, protagonista assoluto del prossimo Calciomercato che lo vedrà probabilmente accasarsi al Santiago Bernabeu;
A differenza degli avversari è l'Arsenal a premere di più sull'acceleratore nei primi minuti, provando qualche incursione pericolosa sugli esterni, con un Kolasinac autore di più di uno spunto interessante sulla sinistra. Nulla di interessante però scuote l'andazzo di un primo tempo bloccato dalla paura di perdere per entrambe le formazioni, scandito da una conclusione dalla distanza dello svizzero Xhaka e un'occasione ghiotta ma non abbastanza da tramutarsi in rete per il centravanti francese Giroud.
Qualcuno sostiene che la bravura di un allenatore sia racchiusa solo nella preparazione precedente alla partita o, forse, si limiti ad innumerevoli schemi che si provano e riprovano durante la settimana, ma insomma credete davvero che un uomo sia capace in tutto e per tutto nel prevedere le mosse del proprio avversario? Se così fosse potremmo parlare di magia e non di calcio.
In questo sport quelli che vincono non sono maghi, anche se spesso se lo sentono urlare per strada, quando tornano a casa con un trofeo in bella vista. Il trucco di un vincente, se così possiamo chiamarlo, consiste nel trasmettere alla propria squadra qualcosa di diverso di un complicato intrigo di tatticismi, poiché anche il nodo più difficile si scioglie di fronte alla semplice parola 'personalità'.
Ed è proprio questo che tra mille vicissitudini è riuscito a fare l'ex tecnico del Napoli alla corte del club inglese di proprietà di Abramovich, donare una propria identità alla squadra che dirige, rianimando calciatori non più giovanissimi, ma con un'enorme esperienza nel proprio repertorio.
La vittoria del maestro
Inutile elencarvi le azioni da goal create dai blues nel secondo tempo, così come descrivere le reti messe a segno da Giroud prima, e la coppia Pedro-Hazard poi, poiché probabilmente le avrete già viste e riviste innumerevoli volte tra i tanti articoli e le diverse parole scarne di significato su questa finale di Europa League. Sarà forse sbagliato non seguire una linea comune a tanti altri, ma credo che nella vita per lasciare un segno, anche se microscopico in confronto ad altri, serva affidarsi a qualcosa di diverso delle semplici scalette, poiché è quando sei fuori dagli schemi che puoi guardarti intorno e capire realmente chi sei.
E ieri sera, in molti avranno potuto constatare la brillantezza di quel maestro che forse in Italia abbiamo spesso criticato e discusso troppo per la sua propensione all'essere imperfetto e sregolato di fronte alle telecamere, senza riflettere che magari in realtà più che un limite si trattasse di un pregio.
E così mentre Maurizio Sarri solleva al cielo quel trofeo che da quando si chiama Europa League nessun italiano è mai riuscito a vincere, una cospicua fetta del nostro Paese lo insegue per riportarlo a casa.