L'idea di sviluppo sostenibile nasce alla fine degli anni '80, in seguito al "Rapporto Brundtland" , scritto dall'allora Primo Ministro norvegese, che metteva in luce l'importanza di soddisfare i bisogni del presente senza compromettere le generazioni future. Tale rapporto, pubblicato dall'ONU, cambia il modo di vedere la tutela dell'Ambiente, non più vista come vincolo, ma come necessità per lo sviluppo sia economico che sociale.

In particolare le multinazionali dovrebbero farsi promotrici dello sviluppo sostenibile, essendo le principali consumatrici delle risorse naturali, contribuendo allo sviluppo di nuove tecnologie per limitare i danni, o meglio prevenirli.

È in questo contesto, legato anche al forte aumento di consumo di pesce sui mercati internazionali, che si inserisce anche il concetto di pesca sostenibile.

L'aumento della pesca a livello internazionale

Le cause dell'aumento sconsiderato della pesca sono da andare a ricercare soprattutto nell'aumento della domanda mondiale di prodotti ittici: lo sviluppo economico dei paesi emergenti ha aumentato il potere di acquisto in vaste aree del pianeta, spostando l'attenzione su uno stile di vita sano e una dieta attenta alla salute, di cui il pesce fa parte.

Ma non solo: gli accordi politici internazionali, gli accordi commerciali e l'apertura globale dei mercati, hanno contribuito allo sfruttamento delle risorse ittiche. Solamente in Europa si consumano in media 23 kg di pesce all'anno a testa (29 kg in Italia), quasi il doppio rispetto a 50 anni fa e il 78% degli stock ittici del mediterraneo è sovrasfruttato.

Vista la richiesta così elevata, la maggior parte del pesce (oltre la metà), viene importato dai paesi in via di sviluppo, rendendo di fatto le comunità locali asiatiche e africane dipendenti economicamente quasi esclusivamente dall'attività della pesca. Il fatto che più di 800 milioni di persone dipendano dalla pesca come unica fonte di sostentamento e di reddito, rende ancora più difficile contenere i danni all'ambiente parlare di pesca sostenibile.

Prodotti con il 'marchio blu'

La Marine Stewardship Council (MSC), organizzazione no profit, ideatrice del marchio blu sugli alimenti prodotti secondo standard sostenibili, crede fermamente nell'utilità e negli aspetti positivi della pesca sostenibile, che per risultare tale deve soddisfare importanti requisiti:

  • salvaguardia di un numero sufficiente di esemplari di pesci per poter garantire la riproduzione dello stock (minimizzare le catture accidentali).
  • le altre specie e l'habitat marino in cui viene effettuata la pesca devono essere rispettate e lasciate intaccate il più possibile.
  • la gestione delle attività di pesca devono essere responsabili e capaci di adattarsi ai possibili cambiamenti e l'attività di pesca deve osservare la legislazione locale, nazionale e internazionale vigente.

Le aziende che vogliono ottenere il marchio MSC quindi, devono attuare delle azioni di miglioramento, avendo dei benefici anche a livello di mercato, in quanto ne favoriscono l'accesso e incrementano le partnership di collaborazione.

Nel biennio 2019-2020, il 17,4% dei prodotti pescati, ha ottenuto il marchio certificato MSC. Questo porta a un cauto ottimismo da parte dell'organizzazione.

'Seaspiracy' e le polemiche

La pesca illegale tuttavia rappresenta una minaccia dilagante: si stima che globalmente, ogni anno, vengano pescate illegalmente tra le 11 e le 26 tonnellate di pesce.

Il documentario di Netflix intitolato "Seaspiracy" e diretto da Ali Tabrizi, ha posto l'accento sul problema, denunciando le attività illegali condotte specialmente in Asia.

Essendo un ambientalista convinto, Tabrizi decide di indagare a fondo sulla pesca industriale, scoprendo che la plastica causa dei grossi danni all'ambiente, ma che è proprio lo sovrasfruttamento dei mari a essere dannoso.

Intervistando attivisti, ricercatori, varie associazioni, Tabrizi giunge alla conclusione che la pesca sostenibile non esiste e non c'è nessun modo di salvare l'ambiente se non rinunciando al pesce.

Questo ha sollevato varie polemiche, portando l'organizzazione MSC a prendere le distanze da quanto dichiarato nel documentario, spiegando le ragioni e l'importanza della pesca sostenibile, ribadendo l'indipendenza e il carattere no profit dell'organizzazione e puntando sulla trasparenza dei dati. Anche gli scienziati hanno "bocciato" il documentario, affermando che Tabrizi confonderebbe impatto e sostenibilità e dubitando dei dati presi in esame. La sostenibilità infatti si baserebbe sull'ambiente, considerando sia l'aspetto sociale che economico.

Il ruolo del consumatore

Finora si è parlato della pesca industriale, ma cosa può fare un consumatore nel suo piccolo per salvaguardare l'ambiente? Il riciclo della plastica è senza dubbio fondamentale, e soprattutto è necessario cercare il più possibile di ridurne l'uso, specialmente nei prodotti venduti al supermercato.

Ma non possiamo pensare di attenuare il problema senza rivedere almeno in parte la dieta. Il sito del WWF rilascia dei "bollini" su quali prodotti sia meglio consumare rispetto ad altri, dopo aver analizzato le specie a rischio. È possibile tuttavia avere delle accortezze in più, per esempio acquistare pesce locale e di stagione, rispettare le dimensioni minime e riscoprire le potenzialità gastronomiche dei pesci meno conosciuti.