Fino al marzo 2020 si aveva la sensazione che esistesse un’unica versione del mondo, quella in cui le cose, le consuetudini, le mode seguissero i ritmi del progresso, lenti e a volte pigri. In passato si sono verificati eventi epocali che hanno in qualche maniera modificato repentinamente certe abitudini o il modo di vedere la realtà, ma in maniera indiretta e trasversale, avvenimenti che comunque molti hanno vissuto da semplici spettatori.

Il Coronavirus, invece, si è rivelato molto democratico, come forse solo una pandemia sa essere: qualcosa di globale e collettivo che ha riguardato e ancora condiziona tutti gli individui, ogni continente, latitudine e longitudine, rendendo suo malgrado protagonista ciascuno di noi.

Ci si è arresi al suo avvento dopo aver attraversato per qualche settimana la fase della negazione, che rafforzava la convinzione che non sarebbe arrivato troppo vicino, che non potesse succedere o che non sarebbe successo. Invece è accaduto e ci ha colti del tutto impreparati mettendo a nudo le nostre fragilità, come singoli e come società.

Distanza fisica e distanziamento sociale: gli effetti del lockdown e le nuove modalità comunicative, tra convivenza forzata e disagio psicologico.

Da quel momento, e per lungo tempo, bambini e ragazzi hanno frequentato la scuola da remoto, con importanti conseguenze sulla capacità di concentrazione e di apprendimento dovute a questa modalità di studio. Applicazioni come WhatsApp e Google Meet hanno sostituito l’ora del gossip durante l’aperitivo con gli amici e le riunioni in ufficio e a un certo punto per alcuni si sono rivelate addirittura più comode e rassicuranti delle comuni interazioni.

Gli analisti di App Annie hanno stimato che nel secondo trimestre del 2020 si sia avuto un incremento del 40% nell’impiego di applicazioni, con un picco nel mese di aprile, quando le ore d'uso hanno subito un’impennata del 200%. Guardando all’Italia in particolare, l’osservatorio Starting Finance Deal ha riscontrato che in Italia, nei primi mesi del 2020, l’utilizzo dei device è cresciuto del 35%, sia per necessità legate allo smartworking, sia per l’aumentata e conseguente socialità virtuale.

Sempre secondo l’osservatorio, l’app più utilizzata è stata Zoom (che ha registrato un aumento di utilizzo pari a 60 volte rispetto a quello dell’aprile 2019 e 131 milioni di download), seguita da Microsoft Teams, Google Hangout Meet (all’ottava posizione nel mondo e prima in Italia per numero di download per dispositivi Android) e Google Classroom, utilizzata dagli studenti in didattica a distanza.

Nei mesi in cui ci si è dovuti abituare a una totale virtualizzazione della vita, la distanza fisica impostaci a tutela della salute nostra e altrui, che consentiva di frequentare prima solo conviventi e successivamente conviventi e congiunti, ha acuito il distanziamento sociale. Secondo una statistica dell’Associazione nazionale divorzisti italiani riferita all'anno 2020, come effetto del lockdown si è avuto un incremento delle domande di separazione del 60% rispetto all’anno precedente. Il presidente dell’associazione, Matteo Santini, attribuisce la responsabilità di questa crescita esponenziale alla convivenza forzata, che avrebbe acutizzato lo stress sanitario, quello dovuto all’incertezza economica e lavorativa, fino a raggiungere il punto di rottura emotivo determinante nella decisione di giungere alla separazione.

Conferma questo trend l’avvocato matrimonialista Gian Ettore Gassani, che denuncia anche un incremento delle violenze intrafamiliari, che secondo l’Ami sarebbero aumentate del 70%. Ciò ha reso evidente come le conseguenze della pandemia non siano state esclusivamente di tipo sanitario ed economico, ma anche affettivo ed emotivo: uno studio commissionato per il Consiglio Nazionale dell’Ordine degli Psicologi ha rivelato, nel maggio 2020, che otto italiani su dieci ritenevano utile per la gestione della crisi indotta dal Coronavirus il ricorso allo psicologo. Un vero effetto domino che ha travolto tutte le certezze e fatto vacillare i nostri equilibri, con degli strascichi che dureranno e i cui effetti si vedranno sulle lunghe distanze.

La prossimità virtuale come alleata nell’affrontare e superare il trauma

In questo scenario così destabilizzato e destabilizzante, tuttavia, c’è un aspetto che va evidenziato, ossia come e in quale misura queste nuove dinamiche, alle quali per forza di cose ci si è dovuti adattare, non siano state sempre escludenti. In alcuni casi avrebbero migliorato e a volte addirittura ristabilito le relazioni, rappresentando un ausilio nel percorso di elaborazione del trauma conseguente all'emergenza in atto.

Quando accade un evento traumatico ciascuno tende a reagire in maniera diversa, in base alle proprie capacità, al proprio carattere, all'esperienze e all’influenza dell’ambiente in cui si è cresciuti.

In un momento in cui non era dato recarsi in un luogo alternativo al proprio domicilio, né vi era la possibilità d'incontrare fisicamente altre persone che stavano vivendo la medesima situazione, si è avvertita la mancanza della forza che il gruppo avrebbe potuto esercitare per arginare i timori e le paure, quel gruppo che si è cercato di creare o rievocare cantando l’inno nazionale – simbolo inequivocabile di appartenenza e identità – dai balconi o creando appuntamenti sui social per iniziative che facessero da collante alle individuali solitudini.

Da questo punto di vista vivere la pandemia nel ventunesimo secolo, con l’ausilio della tecnologia, ha reso le cose più semplici: gli psicologi dell’emergenza del Cisom, Corpo Italiano di Soccorso dell’Ordine di Malta, nelle loro “Informazioni sulle reazioni psicologiche all’emergenza Covid-19” del marzo 2020, riconoscono che l’utilizzo dei mezzi di comunicazione virtuale - all’epoca gli unici consentiti - quali telefonate, chat e videochiamate, possono aver avuto l’effetto di riprendere contatti interrotti o poco frequenti.

Il concetto di prossimità ha così assunto un’accezione completamente nuova e forse sconosciuta, venendo escluso dai limiti spazio-temporali nei quali abbiamo sempre avuto la tendenza a confinarlo. Nel manuale “Covid-19 Il sostegno psicologico” del Ministero dell’Interno, Dipartimento della Pubblica Sicurezza, Direzione Centrale di Sanità, pubblicato nel maggio 2020, si evidenzia come il mutamento degli equilibri pubblici e privati abbia portato a una sorta di “sospensione della normalità”, nella quale l’uomo viene paragonato a un’isola, in grado di vedere e sentire chiunque grazie ai mezzi tecnologici e senza necessità di vicinanza fisica o geografica. Nello stesso manuale, seguendo quanto affermato in “The psychology of pandemics: preparing for the next global outbreak of infectious diseases” (saggio di Steven Taylor del 2019), si evidenzia come gli individui siano in grado di affrontare e sostenere eventi traumatici, anche di grande portata, facendo appello alle proprie capacità di adattamento, ai propri costrutti mentali e altresì al supporto sociale, in questo caso soggetto a regole del tutto nuove.

Il contesto, infatti, ha una rilevanza non indifferente nell’elaborazione del trauma: il sostegno della comunità di riferimento è un forte alleato nel ristabilire l’equilibrio personale e la percezione di controllo sull’ambiente esterno. Ecco perché, quando ne subiamo uno, potrebbe essere fondamentale fare riferimento a elementi che rafforzino le nostre certezze, confermino i ruoli che riteniamo essere nostri e sui quali abbiamo basato la nostra rappresentazione del sé, cruciale per l’autoregolamentazione delle emozioni e nello sviluppo di un buon grado di resilienza, rendendoci sicuri di noi e dandoci l’idea di poter ancora esercitare un controllo sul mondo circostante. Questo può essere terapeutico in molteplici maniere: può aiutare a normalizzare una situazione che sembra pesare solo singolarmente o a un individuo più che agli altri, dimostrando che la condivisione di sorte e paura sia comune; può aiutare a conoscersi e riconoscersi, facendo emergere risorse insospettate, qualità dimenticate o scoprirne di nuove che fino a quel momento non si era stati in grado di vedere; può tenerci in piedi fornendo uno scopo all’attesa del ritorno alla normalità.

Una nuova consapevolezza dei propri limiti e il bisogno innato di superarli

All’esordio della pandemia quell’equilibrio sul quale ci si era naturalmente assestati, e che oramai si era rotto, aveva fatto emergere la sensazione di non essere sempre e comunque gli artefici del proprio destino; aveva fatto comprendere quanto la capacità di adattamento sia determinante per la sopravvivenza e come l’idea di poter tenere ai nostri piedi il mondo e le circostanze, nella vita reale debba tenere conto degli imprevisti. Sono ancora vive nella memoria le immagini del Papa in piazza San Pietro la sera del 27 marzo 2020, così umano da aver colpito profondamente anche i non credenti e questo perché in quel momento il Santo Padre rappresentava ciò che un’intera popolazione stava sperimentando: immerso in una solitudine profonda, con la sensazione di avere il peso del mondo sulle spalle.

È ancora viva nella memoria anche l’immagine dell’allora presidente del consiglio Giuseppe Conte che cerca di trattenere le lacrime davanti alla conta delle vittime, icona di smarrimento e impotenza di fronte a un nemico sconosciuto contro il quale ci si sentiva disarmati.

Quando il 27 dicembre del 2020 in Italia è iniziata la campagna vaccinale, a eccezione di chi per convinzioni proprie, per paura o per una serie di altri motivi ha deciso di non farvi ricorso, si è iniziato a credere e sperare che quelle armi esistessero e fossero alla portata di tutti. La paura si è attenuata perché l’essere umano, nonostante l’istinto di conservazione, non è programmato per la stasi, quanto piuttosto per andare avanti, pur tra i pericoli e il rischio che può comportare declassarli a semplici intoppi.

L’essere umano è proiettato al futuro e in questo ha un’invincibile alleata: la speranza.

L’estate 2021, gli Europei di calcio e il significato di una vittoria.

Così nell'estate 2021, nonostante la consapevolezza di non essere ancora del tutto liberi e di esserlo forse meno di quella precedente, la speranza sta inducendo a comportarsi come se lo fossimo. A beneficiarne, prima di tutto, è il turismo: il Centro Studi Turistici di Firenze, in una ricerca pubblicata a giugno per Assoturismo Confesercenti, stima che in Italia si avranno 33,1 milioni di arrivi tra giugno e agosto e oltre 140,1 milioni di pernottamenti, con un incremento rispetto al 2020 del 20,8%. La percezione di una ritrovata libertà si è avvertita anche durante lo svolgimento degli Europei di calcio, mentre si cantava a squarciagola l’inno di Mameli con la mano sul cuore e la memoria sui balconi in quelle sere di marzo dell’anno prima.

La Nazionale italiana non aveva solo la sua connotazione sportiva, ma rappresentava la forza del gruppo, ora ritrovata, di cui a lungo si era stati costretti a fare a meno. Non è un caso che si sia dato tanto risalto all’aspetto della forte coesione della Nazionale, una squadra giovane e spensierata, che ha dato il giusto peso a ogni sfida e che con leggerezza e impegno si è laureata campione d’Europa. Non è un caso che si sia rivelata così fortemente inclusiva, come hanno dimostrato il fatto che il primo a ricevere la medaglia sia stato l’infortunato Spinazzola o che a celebrare la vittoria insieme alla squadra vi fosse Matteo Berrettini, campione in un’altra disciplina sportiva e che di quella squadra non faceva parte. Le partite non erano semplici incontri di calcio: il desiderio di vittoria era una sorta di desiderio di rivalsa, di trionfare per sentirsi parte di qualcosa di più grande e di collettivo come è stato ed è il Covid, ma stavolta dalla parte giusta. Donnarumma, incredulo e inconsapevole dopo l’ultimo rigore parato, sembrava quasi rappresentare quella parte di tifosi che per lungo tempo aveva scordato cosa fosse vincere. Non stupisce, quindi, l’esplosione di felicità che ha attraversato l’intero stivale la notte dell’11 luglio. Le bandiere sventolate e in cui ci si è avvolti, le stesse bandiere che erano state messe alle finestre sedici mesi prima, quando non si aveva ancora la consapevolezza di cosa stesse realmente accadendo. Una ανάστασις, in cui i simboli della passione attraverso la quale eravamo passati – l’inno nazionale, il tricolore - diventavano i simboli di una rinascita.

Il green pass ci renderà liberi

Così come il simbolo della riconquista della libertà, o per alcuni di una nuova limitazione della stessa, sta diventando il green pass. Com’è noto il 6 agosto prossimo la certificazione verde ottenuta dopo la prima dose o il completamento del ciclo vaccinale, l’esito negativo di un tampone o in seguito alla guarigione dalla Covid sarà necessaria per accedere in quelle che il Comitato Tecnico Scientifico ha definito "specifiche aree a rischio e al chiuso". Servirà per consumare al tavolo all’interno di bar e ristoranti, per accedere a cinema e teatri, palestre e piscine, a centri termali, musei e parchi tematici, per partecipare a concorsi pubblici ed eventi sportivi, mentre si discute se renderlo obbligatorio, presumibilmente a partire dalla metà di settembre, per viaggiare sui mezzi pubblici quali treni, pullman e aerei. Si stima che dal 26 luglio, quando già era certa la data di entrata in vigore della necessità di tale certificazione, siano stati ben 36 milioni i green pass scaricati e al 24 luglio si è apprezzato un incremento delle prenotazioni vaccinali compreso tra il 15 e il 200%. Dalla parte opposta vi sono i numeri dei “No green pass”, che in questi giorni stanno scendendo in piazza a protestare contro l’uso del certificato vaccinale. A ogni modo, la scienza sta confermando che la vaccinazione è l’unica arma a disposizione nella lotta al Coronavirus: è infatti di pochissimi giorni fa la notizia che il 99% dei decessi dovuti a Covid-19 negli ultimi sei mesi riguarda soggetti che non hanno completato il ciclo vaccinale.

I pattern comunicativi prima e dopo marzo 2020

È ancora troppo presto per avere un’idea precisa del reale mutamento che la pandemia ha apportato nei meccanismi di partecipazione e interazione sociale. Quel che è certo è che ha causato un profondo cambiamento nelle dinamiche collettive e personali, in che misura dipenderà in gran parte dalla capacità di adattamento del singolo, così come è certo che l’acquisizione di nuove modalità o l’incremento di altre poco utilizzate fino all’inizio dell’emergenza sanitaria, abbia trasformato l’assetto standard degli schemi comunicativi che, prima del marzo 2020, ci sembravano gli unici possibili.