Il tema del trattamento dei dati personali cosi' come previsto dal Codice della Privacy è di notevole attualità visto l’avvicinarsi delle elezioni amministrative in molte città italiane, previste per l’anno prossimo. Bisogna quindi sapere che da oggi i candidati-aspiranti politici dovranno stare molto attenti a farsi un pò di pubblicità, inoltrando richieste di voti con sms ed email. La Corte di Cassazione con un recente sentenza ha infatti tracciato distintamente l’ipotesi in cui il mancato rispetto dell’informativa sulla riservatezza e del consenso informato possono determinare la condanna al pagamento di cospicue sanzioni amministrative, partendo proprio dall’art.

13 d.lgs. 196/2003 (Codice della privacy). Tale articolo prescrive infatti un obbligo di informativa all’interessato o al soggetto presso il quale sono raccolti i dati personali oggetto di trattamento. La Corte di Cassazione ha dunque ricordato che, salvo i casi in cui è prevista una dispensa da tale obbligo di informativa, alcune modalità di comunicazione richiedono un espresso consenso preventivo del soggetto interessato.

Necessità di consenso per alcuni tipi di propaganda

La Suprema Corte ha infatti distinto le ipotesi in cui venga utilizzato del materiale propagandistico di dimensioni ridotte che richiedono necessariamente un consenso proprio perché non si può inserire l’informativa richiesta dall’articolo 13 Codice privacy, da altri casi in cui invece tale informativa può esser tranquillamente inserita nel testo (ad es.

nel caso di lettere o email ). Nella prima ipotesi, cosi’ come prevede anche un provvedimento del Garante della Privacy, il soggetto interessato nelle veste di abbonato a servizi di comunicazione elettronica e quindi a servizi di telefonia mobile deve dare un consenso, che deve precedere sempre l’invio dell’sms o della chiamata.

Stesso discorso vale per gli utilizzatori di schede di traffico prepagato (chiamate telefoniche, Mms, invio di fax). Gli ermellini ricordano infatti che tale obbligo del consenso preventivo risponde infatti alle prescrizioni comunitarie vincolanti anche per il legislatore nazionale. Tali disposizioni prevedono sia l’uso di formule chiare idonee ad illustrare le finalità di propaganda elettorale, sia l’impossibilità di utilizzare il meccanismo del silenzio-assenso.

(Corte di Cassazione sentenza n .25079 del 10.12.15)

Il caso da cui trae origine la sentenza della Cassazione

Il protagonista della vicenda giudiziaria è stato appunto un aspirante candidato che aveva inviato un messaggio di propaganda elettorale sul cellulare di un concittadino senza aver chiesto il consenso preventivo. Quest'ultimo quindi lo ha denunciato al Garante della Privacy, sostenendo che l’aspirante candidato non fosse mai stato autorizzato al trattamento dei suoi dati personali. La vicenda finisce davanti ai giudici del Tribunale, che hanno ritenuto che non sussistesse violazione dell’art. 13 d.lgs.196/2003. Al contrario del Garante della privacy, che ha sottolineato invece che tale fattispecie non integrasse l’ipotesi dimateriale propagandistico di dimensioni ridotte.

Sussisteva dunque l’obbligo dell’informativa preventiva sul trattamento dei dati personali (cioè del numero di cellulare). La Corte di cassazione, abbracciando la versione del garante della Privacy, ha condannato il candidato che alle prossime elezioni amministrative starà molto attento a non fare lo stesso errore. Per info di diritto premi il tasto segui.