L'unico soggetto ad uscire bastonato dalle primarie è il Partito Repubblicano. Nella sua interezza, nelle sue certezze, nella sua credibilità. Donald Trump sarà candidato alla presidenza degli Stati Uniti ed il prossimo novembre si confronterà nella sfida più importante con Hillary Clinton (lo diamo per scontato, anche se non ha ancora matematicamente la nomination, ndr). Le primarie repubblicane non sono finite ma lui corre da solo, unico avversario se stesso. Gli altri hanno alzato bandiera bianca: prima Jeb Bush, poi Marco Rubio, poi in un colpo solo Ted Cruz e John Kasich.

"The Donald" sarà il candidato alla Casa Bianca ma va inevitabilmente verso la sconfitta perché ormai è chiaro che i pezzi da novanta del Grand Old Party e, con loro, buona parte dell'elettorato medio repubblicano, non lo sosteranno.

I 'Never Trumpers'

Uno slogan che, inevitabilmente, è diventato un hashtag: #Never Trump, "Mai Trump". Lo hanno creato quei componenti del Partito Repubblicano che si oppongono apertamente al miliardario newyorkese. Obiettivo dei "Never Trumpers" è scongiurare qualunque possibilità che Donald Trump diventi presidente degli Stati Uniti. Traguardo che si può evidentemente tagliare seguendo due strade: la prima è quella di spingere gli elettori del GOP a disertare le urne presidenziali a novembre, la seconda ancora più drastica è quella di sostenere apertamente il candidato democratico.

E tra i "Never Trumpers" c'è anche un volto noto, quello di Tim Miller, grande esperto di comunicazione che fino a pochi mesi fa rivestiva il ruolo di portavoce di Jeb Bush. Contro Trump c'è anche parte della stampa, una voce molto autorevole è senza dubbio quella del "New York Times" che ha definito "miope" quella parte dei repubblicani che sta pensando di sostenere l'unico candidato rimasto in corsa alle primarie.

La guerra dei Bush

Quando Jeb Bush era ancora in corsa per le primarie, Donald Trump non è stato affatto tenero con l'ultima "dinastia repubblicana". "C'era un Bush presidente quando sono crollate le Torri Gemelle - aveva attaccato, nel corso di un dibattito televisivo - per non parlare di tutti gli errori commessi in Iraq, con le bugie raccontate sulle armi di distruzione di massa".

I Bush se la sono legata al dito, tanto l'ex presidente George W. quanto il fratello ex candidato Jeb hanno fatto sapere che non prenderanno parte alla convention di luglio mentre il padre, l'ex presidente George H, ormai ultranovantenne, si è ritirato da tempo dalla politica attiva dopo essersi concesso qualche apparizione all'inizio della campagna elettorale del figlio minore.

Trump-Ryan a confronto il 12 maggio

Le schiere degli alleati politici di Donald Trump si sono dunque assottigliate. Non lo sosterrà l’ex candidato Mitt Romney mentre John McCain ha recentemente ammorbidito la sua posizione. “Il partito – ha detto l’ex candidato presidente – deve rispettare la scelta degli elettori. Non avrà neppure l'appoggio di Paul Ryan, speaker della Camera dei rappresentanti degli Stati Uniti.

"Trump - ha sottolineato - è lontano dai principi di Lincoln e del reaganismo e non è in grado di rappresentare il partito". Al di là delle dichiarazioni in pompa magna riteniamo che la probabile sconfitta di Trump alle presidenziali sia per Ryan l'occasione giusta per proporsi, in un futuro prossimo, come il "salvatore del GOP" ed il candidato presidente per il 2020. Comunque sia, Trump e Ryan si incontreranno il 12 maggio anche se non è facile che da questo confronto fuoriescano punti in comune. Nella stessa giornata di giovedì prossimo, il candidato repubblicano alla Casa Bianca incontrerà anche il leader del partito al Senato degli Stati Uniti, Mitch McConell. Indubbiamente Trump ed il suo staff stanno tentando di ricucire una tela che presenta strappi vistosi e, al di là delle sue dichiarazioni sopra le righe, lo riteniamo abbastanza intelligente da capire che, continuando su questa linea, va incontro ad una prossima disfatta elettorale.