Il nuovo presidente dell'Egitto, l’ex generale Abdel Fattah al Sisi, è stato eletto nel giugno del 2014. Neanche un mese dopo l’insediamento, ha investito il suo capitale politico, il consenso, in una rischiosa ma necessaria misura: l’aumento del prezzo della benzina. Senza preavviso, Al Sisi ha annunciato la decisione di ridurre i sussidi statali per il combustibile, che rappresentavano circa il 20% della spesa pubblica. Il taglio è da 15 a 10 miliardi di euro all’anno. Tra i motivi della caduta di Morsi c’è stata la crisi economica e fiscale del paese.

Corruzione e diseguaglianza consumano l’Egitto. Il 40% degli egiziani vive con 1,5 euro al giorno. Secondo la Banca mondiale, nel 2012 l’aumento dei prezzi è stato del 12,4% e le prospettive di miglioramento sono sconfortanti. Con la caduta del turismo, il rallentamento della produzione e l’instabilità economica, il paese è riuscito a sopravvivere grazie ai 14 miliardi di euro degli alleati del Golfo persico. Al Sisi sa che gli aiuti finanziari delle petromonarchie non sono infiniti e per questo si è impegnato a risistemare i conti pubblici il prima possibile. Durante la campagna elettorale aveva anticipato che era necessario stringere la cinghia e fare sacrifici per andare avanti. In materia di diritti civili la situazione in Egitto non è migliore rispetto a qualche anno fa.

La legge che limita la libertà di riunione, e che prevede pene pesanti (15 anni di prigione), ha scatenato il malanimo della popolazione. Durante il Ramadan del 2014 sono stati detenuti 11 ragazzi che partecipavano a una serata di sahoor, la cena finale con la quale i musulmani si preparano al digiuno.