Non esistono due colpi di Stato uguali. Se si prendono in considerazione le operazioni contro il governo in Turchia nel 1969, 1971 e 1980, è chiaro che l’organizzazione - all’epoca condotta dal “Özel Harp Dairesi”, dipartimento speciale di guerra turco - prima aveva disegnato un piano per sconvolgere gli equilibri del Paese e dopo giustificare gli occhi della popolazione l’intervento militare. Ma quello che è successo in pochissime ore venerdì 15 luglio non è lo stesso. L’ultimo tentativo di colpo di Stato in Turchia ha dato passo alla convinzione del premier Recep Tayyip Erdogan di difendere l’ordine costituzionale, la democrazie e i diritti umani, anche se dopo ha ordinato di bombardare più volte il Parlamento, composto da conservatori, liberali, islamisti, sociali e curdi.

L’esercito turco è senza dubbio l’ultimo bastione laico del Paese e dopo il fallito colpo di Stato è indebolito agli occhi del mondo.L’operazione, in apparenza fallimentare, ha dato spazio alla purga del movimento di Fethullah Gülen e la riforma del sistema politico in Turchia, che si avvia verso il presidenzialismo.