Da pochi giorni è apparsa la lista dei crimini punibili con la pena di morte che le Filippine vogliono far entrare in vigore al più presto. Sui social è stata subito polemica internazionale e non: infatti pare che per l'ennesima volta l'opinione pubblica giudichi negativamente l'arcipelago filippino. Intanto non tarda ad arrivare la risposta delle Nazioni Unite che già da tempo hanno apertamente condannato la condotta dell'attuale governo del presidente Rodrigo duterte come punibile per violazione dei diritti umani.

Così l'alto commissariato delle Nazioni Unite, Zeid Ra'ad Zeid al-Hussein, ha preso la sua posizione in una lettera del 6 dicembre indirizzata al portavoce del governo Pantaleon Alvarez e al presidente del senato Aquilino “Kiko” Pimentel III in cui esprime la sua preoccupazione al riguardo.

Il patto del 2006

Non è solo preoccupazione quella delle Nazioni Unite, che comunque portano avanti una linea umanitaria che a prescindere è intollerante alla pena di morte, ma anche un avvertimento vero e proprio. Quando nel 2006, infatti, le Filippine firmarono il patto d'abolizione della pena di morte con esso accettarono una clausola che proibisce la restaurazione della pena capitale.

E' quindi un legame legale quello che dovrebbe impedire alle Filippine di avere il diritto di reintrodurre la pena capitale nel paese. Ad aggravare il tutto è la lista dei famigerati reati punibili con la pena di morte, tra cui compaiono tutti quelli legati alla droga, la pirateria e il furto d'auto, reati considerati di peso assai inferiore nella maggior parte del mondo e pertanto non ammissibili nella lista.

Il problema Duterte e le proteste dei cittadini contro il sanguinario governo

Il sanguinario presidente filippino Rodrigo Duterte sta attualmente causando al paese non pochi problemi diplomatici ed internazionali, ma se agli inizi del governo i sostenitori erano in molti, adesso giorno dopo giorno sono in migliaia a marciare lungo le strade chiedendo di fermare le esecuzioni extra giudiziarie e la violenta guerra alla droga che ad oggi ha ucciso più di 5888 persone in pochi mesi.

Un numero quasi senza precedenti in un così ristretto arco temporale, che veramente avvicina il presidente al dittatore nazista Adolf Hitler. Il malcontento ormai si sente anche tra le comunità filippine di tutto il mondo ed è supportato dall'opinione pubblica internazionale che insieme ad organizzazioni come Amnesty International si batte giornalmente per "mandare a casa" il governo Duterte e porre fine a questa guerra sanguinosa.

Amnesty International ha a tal proposito lanciato una campagna a cui si può aderire con una semplice petizione online per fermare la pena di morte in Filippine.

Le accuse di Matobato contro Duterte

Nel frattempo, ad aggravare l'immagine del presidente, arrivano le forti accuse di un ex "collaboratore" di Duterte ai tempi in cui era sindaco a Davao. Edgar Matobato, infatti, ha confessato di aver preso parte lui stesso al terribile squadrone della morte di Davao e di non essere il solo a poter testimoniare di aver visto Rodrigo Duterte sparare e uccidere a degli uomini, anche solo per liberarsi di avversari politici scomodi. Le indagini al riguardo hanno fatto emergere una figura psicopatica e instabile, unito al comportamento odierno al governo che dipingono il profilo del presidente sempre più simile a quello di un serial killer.

Tra i crimini di cui attualmente è accusato il presidente troviamo il sequestro di persona, la tortura, l'omicidio, la violazione di leggi e diritti umanitari, il genocidio e altri crimini contro l'umanità. Altre indagini, invece, sono quelle portate avanti dalla senatrice Leila De Lima che sembrano addirittura collegare il presidente al mercato della droga, dopo che Duterte stesso si è dichiarato pronto a non far andare in galera per nessun motivo i poliziotti che hanno ucciso Espinosa. Alla luce di tutto ciò e del clima degli ultimi giorni, il mandato di Duterte sembra avere i giorni contati.