I decreti per Ape sociale e Quota 41 possono considerarsi effettivi, con l’unico passaggio ancora da completare che è quello della loro Pubblicazione in Gazzetta Ufficiale. Per quanto concerne l’Ape volontario invece, ci sarà ancora da attendere, con il decreto che è ancora una bozza. Ipotizzare correttivi alle misure già preparate però, risulta esercizio difficile, ma il Presidente della Commissione Lavoro della Camera, torna a chiedere correttivi ed a mettere nero su bianco le cose che secondo lui non vanno in questa ondata riformatrice del sistema pensionistico.
Le parole dell’ex Ministro del Lavoro
Quota 41 ed Ape sono ancora argomenti di massima attualità nella discussione politica. Il Governo ha stabilito dicembre 2018 come termine ultimo per percepire la pensione anticipata rispetto alle attuali norme provenienti dalla Legge Fornero. Il Presidente della Commissione Lavoro Damiano, nonché ex Ministro del Lavoro, ribadisce la necessità di allungare questa scadenza, proprio nell’ottica della necessità di flessibilità del sistema previdenziale nostrano. Le misure devono quindi essere rese strutturali e non lasciate alla mera sperimentazione prevista. Interventi difficili da inserire immediatamente nelle misure, ma che possono essere fatte nella Legge di Bilancio di fine anno, sono possibili.
Damiano chiede che vengano estese le platee di beneficiari di Ape sociale e quota 41, partendo dai disoccupati che non avevano i requisiti per percepire la Naspi o da quelli che hanno perso il lavoro per scadenza dei loro contratti, tutti soggetti oggi esclusi dalle due misure.
Dal contributivo di Dini alla pensione in base al reddito
Damiano, nella sua nota ha toccato anche diversi problemi che oggi sono ancora in azione nel sistema pensionistico e che le due nuove misure non hanno risolto. Problemi che secondo Damiano rischiano di abbattersi ancora di più sui giovani a cui le norme negano anche quel necessario ricambio generazionale che abbasserebbe di molto il problema disoccupazione.
Se la Fornero agli occhi di tutti è una riforma penalizzante e dura da digerire, secondo Damiano, anche la precedente, quella di Dini non fu da meno. È dalla riforma Dini infatti, che le pensioni sono calcolate con il penalizzante metodo contributivo. Un sistema che penalizza molto chi ha contributi versati tra il 1980 ed il 2000. Anche l’opzione Dini, la pensione a 63 anni con soli 20 di contributi, che a differenza dell’Ape volontario, non prevedeva prestiti bancari e rate da restituire, con la riforma Fornero ha perso appeal. Infatti, la pensione a 63 anni e 20 di contribuzione versata è appannaggio solo di persone con redditi piuttosto alti, con pensioni di almeno 1.300 euro al mese. Un meccanismo che viene poco sfruttato proprio perché non è destinato alla maggioranza dei lavoratori, ma solo a chi aveva un posto di lavoro con retribuzioni talmente alte da garantire contribuzione utile ad avere una pensione di importi alti.
Senza tralasciare il fatto che gli accordi siglati durante le trattative tra Stato e sindacati, era diverso alla voce precoci. La quota 41 infatti rappresenta poco il concetto di flessibilità, perché è erogata a soggetti disagiati da lavoro, di salute o reddituali e non alla intera platea di lavoratori precoci. Una serie di paletti e vincoli inoltre, la rende poco fruibile, anche se nella forma, la misura appare utile ad aiutare soggetti in grave difficoltà.