Fallisce il primo trapianto di mano in Italia: Walter Visigalli che nel 2000 si era fatto trapiantare un nuovo arto a Monza ha cambiato idea e si è fatto amputare ed al suo posto ha scelto di farsi innestare una protesi. Troppo elevato il dolore che il paziente ha sopportato per quasi 13 anni, nonostante le forme di rigetto si fossero ridotte al minimo nel corso del tempo: "La vicenda non va vista come un fallimento perché in questi anni Walter ha potuto godere di una vita piena, di un lavoro e di una progettualità senza particolari problemi legati alla terapia", ha dichiarato Marco Lanzetta, il chirurgo che eseguì il trapianto all'ospedale San Gerardo.

Lanzetta, che ha seguito Visigalli durante tutto il decorso post-operatorio, e gli è sempre stato vicino, parla di "epilogo comunque positivo". Negli ultimi due anni la situazione della mano trapiantata di Visigalli era progressivamente peggiorata fino a provocare ulcere molto dolorose e al rischio di cancrena e setticemia; di qui la decisione "serena e condivisa" di non mettere a rischio la vita del paziente, per cui l'unica altra via d'uscita poteva essere il passaggio a una categoria di farmaci più pesanti. Visigalli è tornato quindi a essere il 35enne che aveva perso l'arto in un incidente, ma con una marcia in più.

C'è da dire infatti che anche il primo trapianto di mano al mondo eseguito a Lione nel 1998, non andò a buon fine ed anche il quel caso il chirurgo Lanzetta faceva parte dell'equipe medica. Il paziente che ricevette il nuovo arto, Clint Hallam, neozelandese di 50 anni, non si abituò alla mano nuova e si fece amputare dopo un anno soltanto. "La rappresentazione virtuale dell'arto appare in Walter ben sviluppata - dice al contrario Lanzetta riguardo al primo caso italiano - ed è molto importante che in tutti gli anni di riabilitazione post-trapianto sia rimasta "traccia" della mano perduta nella sua corteccia cerebrale".