In seguito all'approvazione in nove regioni italiane della cannabis ad uso terapeutico, e dopo la sperimentazione dell'Oxford Health NHS Foundation Trust che ha visto la ketamina impiegata come antidepressivo, viene spontaneo chiedersi se dietro alle droghe psicotrope non sia visibile un nuovo orizzonte terapeutico.
Lo studio svolto dall'Oxford Health NHS Foundation Trust si basa su un'iniziale ipotesi del Dottor Carlos Zarate jr del National Institute of Mental Health (Nimh), che già anni fa aveva somministrato per via endovenosa della ketamina a diciotto pazienti affetti da depressione maggiore resistente ai farmaci e, ad altrettanti depressi, un placebo.
Il risultato? Il tono dell'umore nei primi diciotto pazienti si alzò nel giro di due ore, mantenendosi duraturo fino a una settimana, cosa che non avvenne invece nei pazienti sotto placebo.
I farmaci antidepressivi attualmente in uso - di vecchia o di nuova e nuovissima generazione - cominciano ad agire in genere due o tre settimane dopo l'inizio della cura, cosa che ha messo la ketamina sotto indagine scientifica per un eventuale impiego come "correttivo" dei farmaci. La ketamina, infatti, sarebbe in grado di porre rimedio all'indebolimento delle sinapsi. Non si può però ancora parlare di cura miracolosa in quanto, oltre ai noti effetti collaterali (dipendenza e allucinazioni), la sostanza causa anche gravi danni a vescica e reni.
Sicuramente la cannabis, in quanto sostanza naturale, ha avuto vita relativamente più facile. La legalizzazione di una droga che non rappresenti un pesante pericolo per l'intero organismo è più probabile, se non altro per il sostegno popolare che è maggiormente destinata a guadagnarsi. Ma il dibattito sull'approvazione delle droghe a scopo terapeutico è molto meno recente di quanto si possa credere.
Si prenda ad esempio la tormentata storia dell'oppio prodotto in Afghanistan, la cui approvazione da parte dell'Europarlamento risale al 2007. In 150 paesi, si tratta di medicine utilizzate per le terapie del dolore dei malati terminali. Oppure si pensi a quando, ormai un anno fa, il giornalista Stanislas Kraland ha descritto sull'«Huffington Post» il lavoro di Rick Doblin, psicologo della Medical Association for Psychedelic Studies, che usava il principio attivo dell'ecstasy per curare i veterani vittime di sindrome da stress post-traumatico.
Senza poi dimenticare l'esperienza di Erica Rex, giornalista che collabora con The Independent e Scientific American Mind, che grazie alla psilocibina contenuta nei cosiddetti "funghi magici" è riuscita a curare la depressione in cui è caduta in seguito al cancro.
L'individuazione e la creazione di nuovi farmaci è un obiettivo sempre a fuoco per la ricerca scientifica e, in questo ambito, il recente studio sulla ketamina assume connotazioni assai considerevoli poiché indica la possibilità di nuove vie di ricerca, sia nelle diverse fasi di evoluzione del disturbo depressivo sia nelle diverse fasi della terapia. Inoltre, continuare la sperimentazione potrebbe significare la scoperta di un rimedio per l'abbattimento degli effetti collaterali e una riduzione delle attuali gravi controindicazioni.