La prima istantanea scattata in Italia sul tumore della prostatamette a confronto due distinti periodi di tempo (1996-1999 e 2005-2007)descrivendol'evoluzione nella diagnosi e nel trattamento di questo tipo di malattianel nostro Paese.L’indagine, pubblicata nei giorni scorsi sullo European Journal of Cancer, è stata realizzata dall'Istituto Nazionale dei Tumori in collaborazione con l'Associazione Italiana Registri Tumori (Airtum), anche grazie al sostegno di Airc e Amgen. Consiste in uno studio osservazionale retrospettivo di popolazione condotto dalla Struttura di Epidemiologia Valutativa coordinata dalla dottoressa Gemma Gatta.

Lo studio delinea una marcata evoluzione nel trattamento del cancro della prostata e suggerisce la necessità di un nuovo approccio critico a questo tipo di Tumore, già a partire dalla diagnosi precoce.

In particolare, il confronto fra i due periodi di tempo presi in esame evidenzia un aumento dei pazienti che arrivano alla diagnosi con classe di rischio bassa, una riduzione di quelli diagnosticati in fase tardiva (classe di rischio alta o metastatica) e un miglioramento complessivo della sopravvivenza nei gruppi ad alto rischio.A determinare questo trend hanno contribuito il miglioramento terapeutico e la diagnosi precoce.

La fotografia mostra inoltre un diverso approccio di cura a seconda della fascia di età dei pazienti: più interventi invasivi per gli uomini giovani - con incremento della prostatectomia radicale, ma non della radioterapia per gli uomini sotto i 75 anni – e più rari gli interventi radicali nei pazienti sopra i 75 anni.Lo studio mette quindi in luce un possibile overtreatment dei pazienti a basso rischio, e per converso, un sottotrattamento dei pazienti più anziani.

"Grazie alla diagnosi precoce, negli anni si è verificato un calo della mortalità. Questo ci permette di avere meno casi di diagnosi in fase di tumore aggressivo – spiega il professor Valdagni, Direttore della Radioterapia Oncologica 1 e Direttore del Programma Prostata dell'Istituto Nazionale dei Tumori. I dati però ci mostrano anche un 'rovescio della medaglia', e cioè il sospetto che non manchino casi di trattamenti eccessivi e troppo radicali, spesso non necessari: effettuando diagnosi su molti pazienti, infatti, occorre utilizzare particolari cautele nei casi in cui il tumore sia poco aggressivo.

In determinate situazioni cliniche non è necessario intervenire subito in modo radicale, ma è consigliabile sottoporre il paziente a sorveglianza attiva, cioè a un percorso di monitoraggio del tumore definito a rischio di progressione basso e molto basso. Ciò consentirebbe di limitare i casi di overtreatment dei tumori indolenti, e quindi gli effetti collaterali delle terapie, riuscendo a garantire al paziente una migliore qualità di vita".

"Per questo – aggiunge il dottor Nicola Nicolai, Vice Responsabile della Prostate Cancer Unit dell'Int– dalle contraddizioni emerse dal nostro studio nell’approccio al tumore della prostata, possiamo ricavare anzitutto la necessità di un approccio sistematico a questa neoplasia, e il conseguente consiglio di affidarsi a team multidisciplinari che operino in centri qualificati, e possano così seguire il paziente attraverso un percorso di medicina personalizzata".

Lo studio mostra che nel periodo 2005-2007, quando l’idea di un modello di presa in carico multidisciplinare non era ancora diffuso, mentre era già diffuso il test del Psa, si è assistito a un aumento delle diagnosi di tumori a basso rischio, cioè non letali, ma non a una corrispondente riduzione dei trattamenti invasivi o comunque radicali. L’opzione della sorveglianza attiva non era ancora disponibile.