Una buona posizione, quella occupata dall’Italia nella classifica del GBD, un istituto dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms) che ogni anno monitora una serie di parametri per fotografare le condizioni di benessere dei popoli. Questa organizzazione ha fissato 17 obiettivi di valore universale (Sustainable Development Goals; SDGs), da raggiungere entro il 2030. A partire dal 1990, una misurazione annuale di specifici target (169) e indicatori (230), consente ai ricercatori del GBD di comprendere se gli interventi messi in campo, dai vari governanti, vanno nella giusta direzione.

L’obiettivo è quello di arrivare al 2030 con più Paesi possibili che hanno raggiunto il maggior numero di obiettivi prefissati. Di questi, molti riguardano proprio la Salute delle popolazioni.

Meglio di Francia, Giappone e Stati Uniti, ma dopo Germania, Spagna e Regno Unito

Analizzando le performance di 188 Paesi, sullo stato di salute dei propri abitanti, scopriamo che Islanda, Singapore e Svezia occupano i vertici di questa speciale classifica GBD. Si collocano agli ultimi posti Paesi come Repubblica Centrafricana, Somalia e Sud Sudan. L’Italia è messa abbastanza bene occupando la 21esima posizione, avanti alla Francia, al Giappone e agli Stati Uniti. Tra i 20 Paesi meglio piazzati troviamo Germania, Spagna, Regno Unito, ma anche Andorra, Finlandia, Olanda, Canada.

Ma quali sono i punti che ci penalizzano rispetto a Paesi che fanno meglio di noi? Tra gli indicatori che ci penalizzano troviamo l’obesità (39/100), il fumo (52/100), l’inquinamento da polveri sottili (53/100), l’HIV (54/100), la violenza sulle donne, ad opera del partner (66/100), l’alcool (68/100). Dove invece abbiamo raggiunto ottime performance (100/100) è la prevenzione dei disturbi dello sviluppo infantile, la lotta contro la malaria, e l’assenza di guerra.

Cos’è la Global Burden of Diseases (GBD)?

E’ una indagine dinamica, che inizia dal 1990 e, anno dopo anno, seguendo una serie di indicatori (47), 1.800 ricercatori di 124 nazioni seguono il trend delle singole performance nel tempo, e i dati ricavati dai singoli Paesi, confrontati con quelli ottenuti dagli altri Paesi. E’ una indagine indipendente, seguita dalla University of Washington di Seattle, e coordinata dal Prof.

Christopher J. L. Murray.

I parametri di interesse sono la mortalità, la morbilità (probabilità di ammalarsi), fattori di rischio come obesità, fumo di sigaretta, campagne di prevenzioni, infezioni, mortalità infantile, l’aspettativa di vita in buona salute, guerre in atto, epidemie, ecc.

Da questa indagine emerge che il 60% dei Paesi ha già raggiunto l’obiettivo prefissato per il contrasto alla mortalità infantile e materna. Altri parametri, invece, o sono stabili (epatite C) o stanno peggiorando (obesità infantile, consumo di bevande alcoliche). Solo il 20% dei Paesi ha un accesso universale all’acqua potabile mentre nessun Paese può dirsi al riparo dalle infezioni da HIV e dalla tubercolosi.

Se consideriamo che questo censimento mondiale è iniziato nel 1990, se dopo 25 anni su diversi punti si registrano ancora delle criticità, difficile immaginare che nei prossimi 15 anni, cioè entro la data prefissata del 2030, tutti gli obiettivi saranno raggiunti. Comunque rimane importante disporre di questi dati, che fotografano in modo imparziale le condizioni di salute in tanti Paesi, perché rappresentano uno stimolo per i governanti ad investire su singoli punti per migliorare specifiche condizioni della popolazione.