All'Istituto Europeo di Oncologia di Milano nuove vittorie: un gruppo di ricercatori italiani diretti da Giulio Draetta, ha infatti identificato uno dei meccanismi che determina il fenomeno per cui una terapia antitumorale che inizialmente ha funzionato bene nella progressione della malattia neoplastica, da un certo momento si rivela inefficace. La scoperta è stata pubblicata sulla rivista Nature e finanziata da AIRC.

Alla base del fenomeno vi sarebbero cellule mutanti, che rendono la cellula capace di rendere inefficace la terapia fino a poco prima funzionante.

Il DNA delle cellule tumorali infatti si trasforma continuamente; in situazioni normali questo processo dovrebbe far riparare il danno, e nel caso che non fosse possibile, procedere all'eliminazione della cellula neoplastica. Lo scopo di questi meccanismi è di impedire che una cellula difettosa possa ulteriormente proliferare, un pò come se questo sistema fosse bloccato nelle patologie neoplastiche.

Tutto ciò però coinvolge anche l'efficacia delle cure; le cellule neoplastiche modificano il DNA in risposta agli stimoli ambientali, dunque se l'ambiente è fatto da una sostanza capace di sopprimerle, producono una mutazione che consente loro di evitare il pericolo. Ovviamente, sopravviveranno e si divideranno solo le cellule divenute insensibili al farmaco rendendo inutile l'intero trattamento.

Un guaio, considerato che le mutazioni di DNA avvengono rapidamente e la farmaco resistenza può comparire anche dopo qualche seduta di chemioterapia.

Per aggirare l'ostacolo, si potranno mettere a punto farmaci in grado di demolire la Cdc25A quando necessario, o svegliare l'enzima che dovrebbe farlo attivare. Un'altra strategia è quella di non dare mai un solo un farmaco, preferendo i cocktail di farmaci.

Anche questo trattamento ha aspetti negativi, infatti, più farmaci si prendono, più è facile che gli effetti negativi quali alopecia, disturbi gastrointestinali quali vomito, nausea e diarrea, correlate ad anemia, si sommino.