La prestigiosa rivista Neuron ha appena pubblicato uno studio che finalmente getta luce sulle basi neurobiologiche della dislessia. Lo studio, condotto da un gruppo di neuroscienziati del MIT di Boston guidati da John Gabrieli, indica che i circuiti nervosi dei bambini e degli adulti affetti da dislessia si adattano con maggiore difficoltà a stimoli sensoriali ripetuti. Dunque, il correlato neurobiologico della dislessia sarebbe rappresentato da una ridotta plasticità a breve termine dei circuiti nervosi che si tradurrebbe in un deficit di alcune forme di apprendimento.

Cos'è la dislessia?

La medicina ha individuato alcune anomalie dello sviluppo neurocognitivo che vanno sotto il nome di Disturbi Specifici dell'Apprendimento o, per semplicità, DSA. Questi ultimi interferiscono con l'apprendimento della lettura, della scrittura e del calcolo matematico. Nei casi delle persone affette da DSA, tali abilità non si esprimono in modo corretto e fluido e, naturalmente, si manifestano con l'inizio della scuola.

La dislessia fa parte dei DSA e colpisce in maniera selettiva la capacità di leggere. In particolare, la dislessia consiste in una difficoltà nel decodificare le parole scritte. Le altre facoltà cognitive sono inalterate, tanto che le persone dislessiche hanno un'intelligenza, una memoria e capacità nella norma, ma per imparare devono utilizzare tecniche di studio diverse.

La dislessia, che soltanto in Italia interessa due milioni di persone, pone due principali problemi: innanzitutto bisogna riconoscere il disturbo quanto prima, in modo tale da evitare inutili frustrazioni a chi ne è interessato e attuare le più appropriate strategie di insegnamento e apprendimento. In secondo luogo, non sono ancora chiare le basi neurobiologiche della dislessia e, quindi, non esistono trattamenti che possano alleviare le difficoltà delle persone dislessiche e affiancare gli approcci esistenti.

Una minore capacità di adattamento

Apprendere qualcosa, come il suono di una lettera, è un processo graduale" osserva John Gabrieli nel presentare il suo lavoro "ad esempio, quando per la prima volta ci viene presentato uno stimolo sonoro la risposta del nostro cervello è molto grande. Se lo stesso stimolo ci viene presentato ripetutamente, la risposta del cervello diventa sempre più piccola in virtù di un processo di adattamento.

In altre parole, il cervello ha imparato a rispondere allo stimolo utilizzando meno risorse e, dunque, con più facilità. Questo tipo di apprendimento si chiama apprendimento percettivo e si basa su fenomeni di plasticità dei circuiti nervosi".

I ricercatori dell'MIT hanno sottoposto un gruppo di persone dislessiche e un gruppo di persone senza difficoltà di lettura a una serie di compiti di apprendimento percettivo. Durante i compiti, inoltre, i soggetti erano sottoposti a risonanza magnetica funzionale, ovvero fMRI, una tecnica non invasiva che permette di registrare le risposte dei circuiti nervosi a stimoli di varia natura.

"In questo modo" continua a spiegare John Gabrieli "abbiamo potuto osservare che il cervello delle persone con difficoltà di lettura si adatta con minore facilità a stimoli sensoriali presentati ripetutamente, qualunque sia la natura dello stimolo: una parola ascoltata, una parola letta o un volto".

"Il nostro studio rappresenta una svolta nella comprensione delle basi neurobiologiche della dislessia" conclude John Gabrieli. Per questo motivo, lo studio dei neuroscienziati del MIT potrebbe cambiare l'approccio alla dislessia e le modalità di supporto alle persone che ne sono affette.